Sono trascorsi ben 45 anni da quando a Lamezia venne ucciso dalla 'ndrangheta il giudice Francesco Ferlaino. E, come tutti sanno, la Calabria non è la Sicilia e non è la Campania, ma è la terra dell'impunità e della repulsione verso la memoria. Infatti gli esecutori, i mandanti e le motivazioni dell'omicidio eccellente sono rimasti oscuri. Nessuno ha pagato. In perfetto stile calabrese. Nessuno fra i tanti pentiti che hanno costellato negli anni successivi la storia della 'ndrangheta ha mai fatto luce sull'omicidio. Esecutori, mandanti e motivazione ignoti. Ed anche la memoria vacilla. In pochi in Calabria conoscono la storia di un giudice irreprensibile come lo era Francesco Ferlaino. Lo stesso Palazzo di Giustizia di Catanzaro è intitolato a suo nome. A ricordarne il 45° anniversario il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Il 3 luglio del 1975, mentre stava rientrando a casa dal lavoro, il giudice Francesco Ferlaino veniva ucciso a colpi di fucile da sicari mai identificati, esponenti della malavita organizzata. Giudice autorevole e apprezzato studioso, Francesco Ferlaino, sempre impegnato negli uffici giudiziari in Calabria, ha interpretato in modo esemplare la funzione giudiziaria, al servizio della giustizia e del Paese. È necessario non disperdere la memoria di quanto accaduto e l'insegnamento professionale e umano legato a questo magistrato. Rievocare il suo assassinio  richiama il senso etico di quanti hanno saputo opporsi ai nemici della convivenza civile nel Paese, per costruire il futuro della nostra comunità secondo principi di legalità e solidarietà umana. A distanza di quarantacinque anni, desidero rinnovare i sentimenti di partecipazione e vicinanza del Paese ai suoi familiari e a quanti lo hanno stimato e che in questi lunghi anni ne hanno ricordato la passione e l’encomiabile impegno nello svolgimento dell’attività professionale”. Peccato che nessuno abbia pagato per la sua morte. Una grande ferita per lo Stato in una Regione dove lo Stato ha spesso e sovente dimostrato grandi limiti nella lotta alla criminalità, sottovalutando in alcuni casi anche volutamente e colpevolmente la ferocia, la determinazione ed il potere della 'ndrangheta, oggi l'organizzazione criminale più potente al mondo. Molto di più di quanto lo era la mafia ai tempi di Totò Riina o la Camorra ai tempi di Raffaele Cutolo.

Redazione

Che il Procuratore capo della Procura della Repubblica di Catanzaro, dott. Nicola Gratteri, sia oramai da anni in prima linea nella lotta alla criminalità e a quel mondo di mezzo che attraverso il radicato fenomeno della corruzione e della collusione rappresentandone la vera forza, è fuori discussione. E per tale impegno è certamente scomodo e pericoloso per chi governa il territorio con i soliti metodi della sopraffazione e della violenza. L'epoca Gratteri ha segnato in Calabria una svolta e lo dimostra l'operazione giudiziaria Rinascita Scott. Il primo e vero maxi - processo Calabria con ben 479 imputati. E sempre più alto è il rischio di attentati nei confronti dello stesso Procuratore che è sottoposto al massimo grado possibile di sorveglianza e tutela. E le minacce e gli allarmi per possibili attentati si susseguono senza sosta. Nei giorni scorsi, infatti, si è verificato l'ennesimo episodio che ne conferma l'alto rischio. Su "Il Fatto Quotidiano" è stato pubblicato un articolo nel quale si afferma che "una missiva in cui si rivolgono le minacce al procuratore Gratteri é stata fatta pervenire ai carabinieri di Lagonegro. Nella lettera si afferma che una potente cosca di 'ndrangheta avrebbe incaricato un uomo di fiducia di portare a termine il piano omicida, studiato a Limbadi ed affidato ad un killer residente a Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza. In merito a tale lettera sono state avviate apposite indagini per valutarne la credibilità. Si tratta comunque dell'ennesimo episodio di minacce che conferma come l'azione giudiziaria condotta da Nicola Gratteri sia sempre più osteggiata da quelle forze, più o meno occulte, che hanno tutto l'interesse affinchè nulla si muova e affinché tutto rimanga sempre immobile in un Regione consegnata alle mafie e alla corruzione.

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Il segretario regionale del CSE  - Sanità, Sebastiano Maucieri, ha inviato una lettera aperta alla Presidente della  Regione Calabria, Jole Santelli, e al Commissario Piano di Rientro, Giuseppe Cotticelli, nella quale si evidenziano le difficoltà nelle quali versa l'Asp più grande ed estesa della Calabria, quella di Cosenza. Nella lettera aperta, che pubblichiamo integralmente, si legge: "Ma chi gestisce l’ASP di Cosenza? A giudicare da quello a cui si assiste tutti i giorni non è sicuramente il neo Commissario D.ssa Simonetta Cinzia Bettelini, ma piuttosto il reincaricato Dott. Giampaolo Grippa che continua tranquillamente a dettare i tempi a tutte le attività dell’ASP, con quali risultati non è dato saperlo, ma sicuramente con enormi ritardi, come lo si può evincere dalle delibere adottate dal momento della nomina ad oggi. Infatti è noto che per la deliberazione degli atti legati alla gestione dell’ASP si passa dapprima al vaglio del Dott. Grippa il quale, come fa un buon maestro scolastico, corregge i compitini, da i giudizi ed inesorabilmente li restituisce al mittente!!! Ad oggi l’attività amministrativa più florida è quella della restituzione di centinaia di proposte di delibere alle varie UU.OO. proponenti. A questo punto ci chiediamo e chiediamo a chi di competenza: si possono rallentare in modo così evidente, senza dar conto a nessuno, le attività di una ASP così importante e vasta come l’ASP di Cosenza, solo perché un uomo calato dall’alto, non si sa da chi o per quali grandi capacità gestionali di Enti similari dimostrate nel tempo, vuole imporre il proprio dominio nell’Amministrazione dell’ASP stessa? E’ possibile che l’ASP di Cosenza venga affidata alla gestione di persone che non conoscono assolutamente la vastità del territorio da amministrare e le innumerevoli ed enormi problematiche ad esso legate? Sembra normale che dal momento dell’insediamento della nuova gestione, come verificabile dall’albo pretorio, siano state prodotte solo 29 delibere? Ma questi signori hanno minimamente idea di quante attività quotidianamente afferiscono alle competenze dell’ASP? A questo punto ci sorgono seri dubbi: che si stia mettendo in opera l’atto finale dell’ASP di Cosenza? Che questi Signori scesi dal Nord non sanno che pesci prendere e preferiscono non fare per non sbagliare? Che stiano preparando l’atto di dissesto dell’ASP di Cosenza per passarla alle competenze del Ministero dell’Economia e Finanze e così strapparla alla gestione della Regione Calabria? Ma i NOSTRI POLITICI CALABRESI DOVE SONO? Il Presidente della Giunta Regionale, tra l’altro anch’essa di Cosenza, si vuole rendere conto che questi amministratori posti alla gestione dell’ASP di Cosenza non danno alcun risultato concreto? Che non conoscono il territorio? Che non hanno la minima consapevolezza di quelle che sono le enormi esigenze sanitarie di un territorio vasto come quello dell’ASP di Cosenza? Vogliono mettersi bene in testa che l’ASP è cosa diversa da una Azienda Ospedaliera e che la stessa si governa solo se si è in grado di conoscere passo per passo il territorio che la ricomprende? Che non servono i Super Manager del Nord per gestire un’ASP? Che abbiamo tanti bravi Manager locali che potrebbero dare vere e serie risposte in materia di gestione territoriale della Sanità, senza disturbare “Le Menti” nordiche? Ed allora invitiamo le Autorità Regionali ad attivarsi affinchè possano porre fine nell’immediato a questa improduttiva gestione commissariale dell’ASP di Cosenza, decretando la revoca del Commissario Straordinario e del Direttore Amministrativo e nel contempo provvedano alla nomina del Direttore Generale o, nel frattempo, di un nuovo Commissario Straordinario, ma che in entrambi i casi possano essere scelti nell’ambito dei Manager locali, se si vuole effettivamente il bene dell’ASP di Cosenza".

IL SEGRETARIO REGIONALE CSE-SANITA’
Dott. Sebastiano Mauceri

La forte crisi dovuta al periodo di blocco delle attività per il Coronavirus ha aggravato una situazione già difficile per una crisi economica che in Calabria perdura ininterrottamente dal 2008 ed ha aggravto un fenomeno da sempre diffuso in città che in momenti difficili tende ad aumentare vertiginosamente. Quello dell'usura. Cosenza è sempre stata una città incline all'usura. E' stata spesso praticata anche da insospettabili che non erano legati alle organizzazioni criminali ma che non disdegnavano di rivolgersi ad esponenti della stessa quando vi erano oggettive difficoltà nell'incassare il prestito compreso gli interessi sempre altissimi. Con il tempo l'attività è stata praticata sempre più da esponenti criminali o, comunque, almeno consentita da personaggi legati alle varie organizzazioni. Attività che ha sempre fruttato lauti guadagni e che ha sempre rovinato molti imprenditori che stretti dalla morsa dell'usura hanno, alla fine, perso tutto.  oggi questo fenomeno è in crescita esponenziale Con prestiti anche di piccole cifre, 1000, 2000 euro che poi divengono cifre importanti con tassi di usura calcolati addirittura su base mensile. Vi sono lodevoli associazioni antiusura che operano sul territorio spesso legate al mondo della Chiesa che fanno quel che possono. Rimane invece insufficiente l'azione delle Istituzioni sia nel senso della prevenzione che in quello della repressione di una attività illegale terribile che ha determinato negli anni tanti suicidi di imprenditori e uomini disperati che in un momento di estrema debolezza rimangono intrappolati in un terribile girone infernale come quello dell'usura.

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Tante le inchieste sulle infiltrazioni della 'ndrangheta nelle regioni del Nord italia, dal Trentino Alto Adige, al Piemonte, al Veneto solo per citare alcune delle più recenti operazioni di polizia giudiziaria delle ultime settimane. Oramai non si contano più le inchieste che confermano il sempre maggior radicamento dei locali di 'ndrangheta nelle opulente regioni del Nord. Radicamento che, ad onor del vero, parte da tempi immemorabili. Sin dagli inizi degli anni '70 in Lombardia e soprattutto a Milano operava il clan dei calabresi che si contendeva il controllo della prostituzione, delle bische clandestine e del settore movimento terra con il clan dei marsigliesi, con qualche gruppo locale e con il clan dei siciliani. Ma sono tempi lontani. Oggi il predominio della 'ndrangheta è fuori discussione. Il controllo monopolistico del mercato della droga e la continua sottovalutazione del fenomeno ha consentito un radicamento lento e costante sul territorio che non è più possibile arginare. Oggi la 'ndrangheta è una potente holding finanziaria che investe miliardi di euro, che riclica fiumi di denaro sporco, che trova nel tessuto imprenditoriale del nord collegamenti ed appoggi un tempo impensabili, che ritrova nel mondo della politica collusioni e protezione collaudando quella formula vincente fatta di corruzione ed infiltrazione nello Stato. La formula vincente della 'ndrangheta è quella di non apparire, di non uccidere, di non mettersi in mostra, al contrario di come fece l'ala stragista di Cosa Nostra dei corleonesi che ponendosi contro lo Stato ne uscirono sconfitti. La 'ndrangheta investe, compra, corrompe attraverso quella generazione di imprenditori, di colletti bianchi incensurati e al di sopra di ogni sospetto, di quella borghesia mafiosa collusa ed oscura che la rende insidiosa e difficilmente individuabile. Investe in Borsa, investe nella sanità, investe negli appalti, investe nei locali alla moda, nei ristoranti di lusso e si infiltra sempre più nell'economia del Paese. Soprattutto oggi con la crisi in atto sfruttando l'immensa liquidità proveniente dai narcoeuro. Il tutto con un sistema giudiziario che annaspa e continua a sottovalutarla. Oggi la capitale della 'ndrangheta non è più la ionica o la tirrenica reggina ma è MIlano, sono le grandi capitali degli affari. Lodevoli le azioni giudiziarie in atto ma totalmente insufficienti a ridimensionare un fenomeno in forte crescita.

Il vescovo della diocesi di Cassano allo Ionio, Monsignor Francesco Savino, l'ancia l'allarme della diffusione sempre più dilagante della ludopatia. Nell'ultimo anno sono stati spesi ben 462 miloini di euro. “A livello regionale, e in particolare su scala diocesana, registriamo dati allarmanti che rimandano a un’emergenza sociale ed educativa: ogni cittadino calabrese - afferma Mons. Francesco Savino - mediamente dilapida 400 euro; secondo i dati forniti dall’Agenzia delle Dogane in Calabria sono stati spesi oltre 462 milioni di euro: una cifra monstre sottratta all’economia sana di questo Paese. a dipendenza  che coinvolge un target sempre più eterogeneo senza differenze di età o sesso, padri di famiglia, anziani e ragazzi poco più che adolescenti. Credo sia improrogabile una rivisitazione complessiva della governance regionale in materia di dipendenze, occorre individuare nuovi strumenti di lettura e buone pratiche per efficaci interventi di programmazione. Centrale è il tema della prevenzione, la cenerentola delle politiche sanitarie. A tal proposito ritengo sia fondamentale agire su due livelli: le risorse e la definizione di azioni di contrasto ben codificate e coerenti. La mancanza di adeguate risorse rappresenta un elemento ostativo all’elaborazione di strategie e piani educativi che non si perdano in interventi a spot. Penso al target scolastico e alla necessità di investire in interventi per identificare comportamenti a rischio e condizioni di vulnerabilità. Auspico altresì  che il legislatore regionale assicuri, con il senso del ‘bonus pater familias’, azioni legislative efficaci volte a salvaguardare le già molteplici storie piegate dal nefasto gioco d’azzardo”.  Un accorato appello, quello di Monsignor Francesco Savino, che ci si augura non rimanga inascoltato. Spesso alla ludopatia si accompagna il fenomeno dell'usura e la rovina di tante famiglie. Un dramma sociale che non può più essere sottovalutato.

La vicenda giudiziaria che vede protagonista l'ex Presidente della sezione della Corte d'Assise di Catanzaro, il giudice Marco Petrini, potrebbe far luce su quella borghesia mafiosa fatta di rappresentanti dello Stato, di professionisti e di personaggi che rappresentano la vera forza dell'organizzazione criminale calabrese, la 'ndrangheta, che della corruzione dilagante ha fatto la sua inarrestabile forza motrice e la sua ritrovata impunità in un momento nel quale anche  a livello del Governo nazionale la lotta alle mafie è relegata agli ultimi dei problemi da risolvere con buona pace delle tante commemorazioni false ed ipocrite nei confronti della memoria di chi per la lotta alle mafie ha immolato la propria vita. Da quanto trapela dagli interrogatori e dalle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti dal Giudice Marco Petrini, stracolme di omissis, sembra che non siano in pochi i colleghi giudici chiamati in causa dallo stesso Petrini come sembra, il condizionale è d'obbligo, anche che vi sia una loggia massonica coperta con l'adesione alla stessa di numerosi togati che pare abbia avuto la funzione di luogo di mediazione e incontro per stabilire a chi favorire attraverso una funzione non proprio limpida dell'importantissimo ruolo di tutori della giustizia. Una loggia coperta frequentata da giudici e avvocati. E della presunta esistenza di una Loggia coperta di avvocati e magistrati con la quale poter trattare l'esito di delicati processi hanno parlato anche numerosi pentiti d' 'ndrangheta di "calibro". Una Loggia coperta in grado di unire le esigenze del mondo di mezzo con il mondo di sopra. Il vero cuore del potere criminale che in Calabria impera da sempre e che è sempre più forte. In una terra dove il diritto e la giustizia sono sempre stati delle vere chimere e dove quei pochi che disperatamente cercano di combattere lo strapotere della corruzione sono da considerarsi dei veri e propri eroi, quando, invece, ina una società normale, fare il proprio dovere dovrebbe essere la normalità. Ma vivere nella normalità in Calabria sarebbe davvero rivoluzionario. 

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Editoriale del Direttore