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Oggi, 8 gennaio 2022, è venuta alla luce una bella bimba di nome Giulia. La redazione dei collaboratori e "La Voce Cosentina.it" esprimono i loro più cari aguri alla mamma, la professoressa Alessandra Bonofiglio, al papà, l farmacista Luigi Miceli e al nonno per la nascita della sua prima nipotina, Gianfranco Bonofiglio, direttore de "La VoceCosentina.it". Che la vita possa riservare serenità e buona sorte alla bella bimba che ha allietato con il suo arrivo la casa di Luigi e Alessandra.

Redazione

In molti erano i giornalisti che avrebbero voluto scrivere la storia di Franco Pino, l'indiscusso Boss di Cosenza negli anni '80 e collaboratore di giustizia ormai dal 1995. A curare un libro nel quale Franco Pino racconta in prima persona la sua storia, quella della sua vita precedente è stato Pino Nicotri, giornalista di lungo corso, corrispondente dal Veneto del quotidiano "La Repubblica", tra i fondatori de "Il Mattino di Padova" e de "La Tribuna di Treviso" e per ben 35 anni giornalista de "L'Espresso", oltre ad essere l'autore di numerosi libri - inchiesta.

Il libro, "Il boss dagli occhi di ghiaccio - Le confessioni di un grande capo della 'ndrangheta", edito dallo stesso autore nel 2020, è un racconto in prima persona di ben 250 pagine nelle quali Franco Pino racconta la sua vita sino al 1995, l'anno in cui, allora aveva 43 anni, decide di saltare il fosso e di passare da boss di prima grandezza ad importante collaboratore di giustizia. Un racconto avvincente di un uomo che giovanissimo, a soli 25 anni in seguito all'omicidio di Luigi Palermo detto "U Zorru" avvenuto il 14 dicembre 1977, conquista i galloni di capo. Non è solo il racconto minuzioso e dettagliato dei tantissimi omicidi che insanguinarono la città durante la prima guerra di mafia nello scontro fra i gruppi che si contendevano la città, ma è anche e soprattutto il racconto degli intrecci con la politica, con il mondo degli appalti, con i partiti, con le istituzioni, con pezzi della magistratura, con collusi delle forze dell'ordine ed è soprattutto il dipinto di una città dove l'illegalità regna sovrana, dove la cultura mafiosa è la padrona, dove non esiste alcun anticorpo alle mafie, dove non vi è alcun valore dell'onestà e dell'osservanza delle leggi. Dove lo Stato è un nemico e dove la regola è solo quella di ingraziarsi il potere per trarne sempre il massimo profitto. In anni in cui si viveva il boom economico, dove si costruivano i palazzi, dove i soldi giravano a fiumi, dove i soldi pubblici erano destinati nella loro gran parte a tangenti e ad alimentare quel sottobosco nella quale la criminalità cresceva e prosperava, più di quanto gli stessi criminali potessero sperare. Nel libro si racconta "il tentativo di trasformare in 1.500 miliardi di lire i quintali di carta filigrana fatti sparire dalla zecca di Stato e  - per come afferma il giornalista Pino Nicotri in una sua intervista sul libro rilasciata al quotidiano on - line blitzquotidiano.it  - conservate nei sotterranei del Vaticano".  "Franco Pino voleva modernizzare la 'ndrangheta - racconta ancora Pino Nicotri nell'intervista - e che finisse l'epoca degli omicidi e delle sparatorie. Voleva si puntasse invece sugli appalti di tutti i tipi, privati e pubblici, per lucrare buone percentuali dei capitali investiti offrendo in cambio protezione e tranquillità durante la realizzazione dei lavori appaltati. Mettendosi d'accordo con largo anticipo coi politici, progettisti, imprenditori e manager, il boss dagli occhi di ghiaccio aveva varato quella che lui chiamava “procedura paralecita”: ottenuti gli appalti, decideva a chi distribuirli sul territorio facendo in modo che venisse impiegata sempre manodopera locale, in modo che potesse “portare il pane a casa” anziché vedere arrivare operai e impiegati da altre località, magari neppure calabresi.  Dalla narrazione di Pino Franco viene fuori uno spaccato incredibile. Allarmante". "Uno spaccato che purtroppo però - continua il giornalista Pino Nicotri - non è solo della società calabrese… Ne emerge infatti che le grandi associazioni criminali senza complicità nel resto dell’intera società non potrebbero esistere: sarebbero pesci privi dell'acqua nella quale nuotare e grazie alla quale respirare. Il malaffare e la corruzione che sempre l'accompagna si infiltrano e si diffondono come un cancro. Realtà sempre più confermata dalle cronache del BelPaese. Sotto questo profilo è divertente notare che a un certo punto il boss ha aperto e man mano ingrandito con due suoi amici la Boutique dei Fiori, diventata il suo quartier generale.  Dalla Boutique dei Fiori partivano condanne a morte, attentati, ordini di rappresaglia, e nella Boutique dei Fiori si decidevano estorsioni, grassazioni, alleanze, guerre, tregue e i periodi di pace. Vi arrivavano in visita “di lavoro” boss amici e nemici anche dal resto della Calabria, uomini d'onore, politici in cerca di voti e di favori mortali, imprenditori in cerca di protezione. E tra i clienti, quelli che si limitavano a comprare fiori, piante, corone di laurea, corone per funerali, e ordinare addobbi per le più svariate occasioni, feste e ricorrenze, compresi i ricchi addobbi per la visita in città di papa Wojtyla il 6 ottobre ’84, non mancavano poliziotti, carabinieri, direttori del carcere locale, militari della Finanza… Tutti trattati coi guanti gialli da ricambiare all'occorrenza con qualche favore compiacente, dalle soffiate ad altro ancora". "A porre fine all’epopea  'ndranghetista - conclude Pino Nicotri - non solo del boss dagli occhi di ghiaccio, fatto segno per tentare di ucciderlo a tre sparatorie, due delle quali mentre era in carcere, e al suo sogno di modernizzazione, sarà l’eccesso di crudeltà. Crudeltà per giunta inutile. Che convincerà più d’uno a saltare il fosso e vuotare il sacco dai magistrati per salvarsi la pelle".  Nel libro si delinea lo spaccato di una città corrottissima, dove la cultura mafiosa è imperante. Una città con gran parte della magistratura compiacente, con politici che facevano la fila per chiedere favori al boss, con professionisti che speravano di tessere un rapporto confidenziale. Il vero "Sindaco" della città è stato in quegli anni Franco Pino, come il "Sindaco" di rione sanità a Napoli descritto magistralmente da Peppino De Filippo. Una realtà incredibile che trascinò Cosenza nell'oscurità di una guerra di mafia dove caddero anche poveri innocenti colpiti da proiettili vaganti che in una città crudele come Cosenza nessuno ne ricorda neanche il nome. Tutti coloro i quali erano da contorno alla criminalità di quel periodo rimasero impuniti. Molti non vi sono più, altri ricoprono ruoli importanti ancora oggi. Franco Pino da pentito fece i nomi di tanti notabili della città che erano a lui compiacenti. Ovviamente rimasero parole vuote. Tutte le dichiarazioni divennero non degne di affidabilità. Tutto venne insabbiato nel più degno copione del "Porto delle Nebbie". La stagione di Franco Pino finì. Oggi è un signore che il prossimo 26 marzo compirà 70 anni, senza più alcuna protezione, cessata dopo venti anni dal pentitismo, che ogni tanto depone ancora in qualche processo. Dal 1995, cioè da ben 27 anni vive la sua seconda vita da esperto di informatica. L'aver scritto questo libro è stato un tuffo nella sua prima vita. Un libro che avrebbe meritato maggiore attenzione. Sono passati troppi anni e la "memoria" non è mai stato il forte della comunità calabrese e cosentina. La criminalità di oggi, molto più forte dei tempi di Franco Pino, non spara più. E' oramai una criminalità imprenditrice. Ha conquistato i ruoli sociali più importanti. Non ha più bisogno di rapine, di morti e di clamore. Gestisce gli affari, investe in attività apparentemente lecite. Ha conquistato gran parte dell'economia gestendo in forma monopolistica tante attività imprenditoriali. Continua a gestire il grande affare del mercato della droga. Sempre impunita e sempre protetta. In realtà ha vinto. Ha scalato la società. E' uscita dal ghetto dei quartieri popolari. E' oggi la nuova borghesia rampante. I figli sono medici, imprenditori della sanità, commercialisti, imprenditori. Il passo è compiuto. La scalata sociale costruita sul piombo e su tanti morti con la complicità dello Stato corrotto ha dato i suoi frutti. I tempi del "boss dagli occhi di ghiaccio" sono definitivamente tramontati.

Redazione
 

L'inchiesta ed il processo denominato 'ndrangheta stragista con principali imputati i fratelli Graviano e Rocco Filippone legato al potente clan Piromalli, cerca di ridefinire non solo il rapporto fra mafia siciliana e 'ndrangheta ma ripercorre anche un periodo storico, quello della fase finale della Prima Repubblica ed il tumultuoso passaggio verso la seconda.

L'interra fase della Prima Repubblica era stata caratterizzata dall'unico denominatore comune che era quello di evitare che il comunismo potesse prendere il potere in Italia. 

Con l'obiettivo prioritario di evitare qualsiasi compromesso storico che era inviso sia alle forze statunitensi che controllavano il Paese, loro alleato con il Patto Atlantico, che alle forze sovietiche che in Italia potevano contare sul più forte  partito comunista in un Paese occidentale.

Non per nulla fra tutti i partiti comunisti presenti nel mondo occidentale quello sul quale Mosca investì di più in termini di finanziamenti in un fiume di dollari fu il Pci. Si calcola che l'importo dell'Oro di Mosca equivalesse almeno a tre volte l'importo complessivo delle tangenti incassate da tutti gli altri partiti.

Barbara Piattelli è stata una delle vittime della stagione dei sequestri che dal lontano 1973 al 1997 fruttò circa 800 miliardi di vecchie lire per un totale di ben 694 sequestri di persona ( 564 uomini e 130 donne) quasi tutti ad opera delle potenti 'ndrine che controllavano il territorio dell'Aspromonte dove spesso venivano tenuto gli ostaggi per periodi anche lunghissimi.

In merito al servizio Tv trasmesso su "Report" in onda su RAI3 l'8 novembre scorso è giunta in redazione una legittima precisazione da parte del noto Avv. Salvatore Traina con studio in Roma e Palermo in qualità di difensore dell'imprenditore Roberto Recordare. In ossequio  ai sacrosanti principi di equità e imparziale informazione si pubblica integralmente con uguale rilevanza:

Editoriale del Direttore