Potrebbe sembrare alquanto scontato parlare di felicità, ma l'idea astratta e/o concreta non è affatto univoca bensì molto complessa. Interpretazioni del concetto, infatti, sono presenti a iosa analizzando opere in versi dalla letteratura classica in poi.
( nella foto in apertura "I limoni" di Guttuso )
Durante il tempo estivo, quando i momenti liberi per ognuno dovrebbero essere più numerosi, si è spontaneamente indotti al pensiero contemplativo della natura, che in particolar modo nelle ore notturne ispira riflessioni esistenziali.
È proprio così che lo splendore del fogliame, dei frutti degli alberi, dei fiori e del paesaggio, ritempranti l'animo, allontana gli affanni della quotidianità. Per attimi isolati ci si immerge così nel silenzio della guarigione.
Sì, perché natura e silenzio sono proprio le dimensioni del ristoro dall'uso sempre più obbligatorio e indispensabile dei pc nelle diverse professioni, più in generale dai media, a dispetto dallo spazio della frequentazione di persone aperte, filantropiche, capaci di cooperare o agire singolarmente per il bene degli altri.
Quest'ultimo lato, purtroppo ristretto, costituisce un'altra via per sentirsi appagati ed ispirati a pensare sempre positivo.
Se si leggono i classici, infatti, nella maggior parte dei casi, emerge una visione sconsolata della vita e delle possibilità umane di fronte agli dei e alla storia dai tempi più antichi fino alla più stringente attualità, dominata da patologie indebellabili, virus incalzanti, guerre e genocidi. Questi ultimi a volte non riconosciuti come tali con tempestività.
Ritornando in maniera estremamente succinta all'evo antico: la guerra di Troia causò la distruzione della città stessa, l'umiliazione del suo re giusto, del suo principe eroe, le cui gesta esprimono i valori di un'intera società, basata sull'amore per la propria patria e famiglia nonché sull'onore contro la vergogna e la viltà, ignavia condannata da Dante ed esecrabile in ogni contesto.
E non solo, le nobildonne di Ilio vennero deportate, rese schiave e concubine dei Greci. Stupri antichi, moderni e attuali.
Si lanci ora uno sguardo rapidissimo alla tragedia greca, per definizione espressione della sofferenza più atroce, per le guerre, gli incesti, l'ereditarietà della colpa, l'uccisione dei congiunti e altro ancora.
Ad Eschilo, il primo della triade dei tragediografi più grandi, si deve un aforisma intramontabile: pathei mathos (=dal dolore la conoscenza).
In Sofocle, invece, Antigone viene sepolta viva per essersi opposta alla ragione di Stato, incarnata dallo zio Creonte nel non voler dare sepoltura al suo stesso nipote.
Legge formalizzata contro ragioni del cuore e dettami divini. Il culmine del pathos viene raggiunto nella storia di Edipo in cui l'anagnoris=il riconoscimento -di cui parla Aristotele nella sua Poetica, XI, 25- da parte del protagonista della propria origine genitoriale porta in seguito all'accecamento come autopunizione.
Non c'è proprio scampo, in quanto in Euripide la Medea per antonomasia ucciderà i propri figli, per vendicarsi del marito.
Ne le Baccanti del medesimo autore le donne di Tebe perderanno la ragione invasate da Dioniso, a causa della non accettazione da parte del re Penteo dell'invadenza pervasiva del dio. Quella del sovrano sarà una fine atroce, lacerato e ucciso dalla sua stessa madre (versi 1122-1132).
Invece, Saffo, prima e insuperata poetessa occidentale, definì l'elemento più bello del mondo la persona che si ama (frammento 16, edizione Voigt). D'altro canto, noto è anche il dolore di Saffo per l'allontanamento delle fanciulle, ormai iniziate alle pratiche sessuali propedeutiche al matrimonio, dal tiaso.
Arcinota è anche la tradizione che la vede gettarsi in mare per il giovane Faone. Eros e Thanatos, binomio psicologico reale e sempre più concreto.
Agli antipodi il carpe diem oraziano è un invito a vivere l'attimo fuggevole della serenità, ripreso da Lorenzo il Magnifico, che in una celeberrima poesia invita ad essere felici nell'oggi, dato che il domani è un'incognita. Lungo questa traiettoria, letterati di non poco conto, quali Leopardi, seppero immergersi appieno nella contemplazione estatica dell'immensità attraverso lo sguardo allo spazio illimitato, per fruire di un momentaneo sublime.
È senz'altro la natura in Montale a rasserenare l'uomo nelle grandi città, piene di rumori e in cui persino il cielo si può scorgere solo a tratti.
In questo caso, sono i limoni, cromaticamente quasi sfavillanti, ma rassicuranti e osservabili da elevati antichi portoni sicuramente mal chiusi, a offrire ristoro.
"Ma l’illusione manca
e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità".
(E. Montale, I limoni)
Quasi il rovescio della medaglia è esplicitato dal poeta poi con Non chiederci parola in cui si dichiara inerte ed impotente, quasi annichilito a causa della guerra.
Potente l'immagine della vita da Meriggiare pallido e assorto. Qui essa è un muro scalcinato, da percorrere sotto un sole che acceca.
Il tutto fa comprendere che l'esistenza è fatica e sofferenza.
È proprio vero quello che sostiene Eugenio Montale, suffragato dalle parole di Virginia Woolf (Gita in barca).
“Esiste una forma di tristezza che nasce dal sapere troppo, dal vedere il mondo così com'è, senza veli.
È la tristezza di chi ha capito che la vita non è una grande avventura, ma una successione di piccoli momenti quasi invisibili.
Che l’amore non è una favola, ma un’emozione fragile, che scivola via tra le dita.
Che la felicità non è uno stato duraturo, ma solo un lampo raro e fugace — bello, ma impossibile da trattenere.
E in questa consapevolezza si nasconde una solitudine profonda.
Un senso di distacco dal mondo, dagli altri e, forse, anche da se stessi.”
A differenza dei poeti - per es. Leopardi, affine soprattutto in certi versi, qui non menzionati e non solo, a Montale-ci sono psichiatri di grido che dispensano "ricette" su come raggiungere la felicità, dimenticando forse che tale stato di beatitudine può sì essere in qualche modo costruito con la ricerca e l'adattamento alle diverse situazioni, come sostiene qualche filosofo, ma che il requisito essenziale per essere felici veramente è cogliere l'attimo che fugge, il panta rei eracliteo irripetibile.
Opposizione alla spontaneità e l'ingenuità del pensiero sul tempo che possa fermarsi in eventi straordinariamente positivi.
In Manzoni il gioco cambia radicalmente, perché la Provvidenza divina dispenserà la felicità a Renzo e Lucia dopo innumerevoli traversie. Ma quanto durerà per loro tutto ciò?
Nessuno di noi può dirlo.
Proprio vero, dunque, come afferma il grande Totò quando esplicita che la felicità è legata ai singoli attimi o momenti.
"Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza".
Per noi dal sorriso di un bambino, le stelle, i fiori, il contatto con gli animali, la vicinanza di una madre, il percepire che qualcuno sta meglio, la vicinanza di amici sinceri.
Se poi si tornasse a ritrovare in sé stessi il senso dell' Humanitas, tanto decantato da tutti, ma spesso non perseguito per grettezza che cozza contro la cultura e/o non interiorizzata o non coniugata con la sensibilità, si potrebbe ritornare forse tutti "a riveder le stelle" (Dante, Inferno, XXXIV, v.139).
Anche se di questi tempi, felicità è, per chi può, anche riscoprire e rivalutare la propria regione, la Calabria dal fascino indiscutibile, in cui sono presenti eccellenze, tra peculiarità storico-artistiche, etniche, antropologiche e gastronomiche, che non sono indicabili per altre Regioni.
Parlare di felicità, dunque, come si è scritto, non è affatto semplice, ma per chi volesse cimentarvisi le parole e/o -espressioni chiave, in questo caso, sarebbero: natura, silenzio, saper cogliere l'attimo fugace, Humanitas, fascino della Calabria.
Vanessa Cuconato


