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Sabato 28 maggio, presso il Teatro “Gulliver”, in contrada Cutura a Rende (Cs), si è tenuta un’interessante rappresentazione in onore della pace, intesa come sinonimo dell’arte più pura.Ospite speciale è stata Inna Stets, pittrice ucraina che vive ormai da molti anni in Italia.


L’artista, visibilmente emozionata, prende la parola, presentando due dei suoi molteplici dipinti. Il primo, è diviso in due parti dai colori azzurro e giallo, simbolo del cielo e dei chilometrici campi di grano ucraini, con l’aggiunta, da parte della Stets, di una quercia, immagine di forza, resistenza ed eternità, subito pronta ad unire i due colori.

Come se la pittrice avesse previsto la barbarie bellica, che persiste nella parte più ad ovest del paese già da otto anni.

Spostandosi poi sulla destra, del piccolo, ma grazioso palco del teatro, ella ci mostra un’altra sua creatura intitolata “Kalena”, rappresentazione pittorica di una ragazza con una corona di fiori, emblema di purezza e modestia, poiché in molte, non avendo la possibilità di possedere gioielli preziosi, utilizzavano i fiori per adornare la propria unicità e bellezza.

Inna, racconta con voce spezzata, di non riuscire più a dipingere, da quando in tv, o sui social, vede, o legge della situazione drammatica in cui versa il suo paese. Pensa ai numerosi bambini uccisi, alle donne violentate, ai suoi quattro fratelli diventati ormai soldati, e alle sue giovani nipoti, diventate delle staffette.

Probabilmente, anche lei avrebbe combattuto in prima linea con fierezza ed orgoglio, si sarebbe trasformata in guerriera, sfidando i carri armati e combattendo in trincea, proprio come Stefanìa, la protagonista della canzone ucraina vincitrice dell’Eurovision song contest, avrebbe sacrificato se stessa per mettere in salvo i suoi cari, perché la storia si ripete ogni volta che ha la possibilità di farlo.

Molte infatti, sono le donne che hanno impugnato armi e governato regni sin dall’antichità, parliamo di Arpalice, figlia del re di Tracia, difese la sua patria dall’attacco del figlio di Achille; Tamiri, eroina degli sciiti, celebre per aver sconfitto Ciro il grande; Didone, fondatrice di Cartagine sulle coste africane.

Un’altra opera, che riprende la forza, ma allo stesso tempo la fragilità delle donne, è la tela di Francesca Lo Celso, la quale ha deciso di rappresentare su una base celeste, l’occhio stanco e triste di una donna che piange, si tratta di un fulmineo riferimento a Freya, in mitologia signora degli elfi e moglie di Odur, il Dio che percorre instancabilmente la volta celeste alla guida del carro del sole.

La leggenda racconta che, ogni giorno, i due dovevano separarsi, dedicandosi ai propri doveri divini, e quando Odur si metteva in viaggio, Freya non riusciva a trattenersi dal piangere lacrime d’oro, che tingono l’alba di questo colore.

Ciò accade ogni istante sui tanti fronti, mentre gli uomini rimangono a combattere, le donne a loro volta combattono e cercano di salvare i propri figli, anche a chilometri di distanza, dall’alba al tramonto.

L’interpretazione della tela è ovviamente soggettiva, ognuno intravede e nota dei singoli particolari o addirittura, può vedere sé stesso.

La serata prosegue con il centro studi e danza “Sapienza”, con l’esibizione di due giovanissimi talenti della danza, Giuseppina e Rodolfo Piacentini, che con i loro passi hanno illuminato e animato un teatro finalmente pieno, dopo l’emergenza Covid.

Poi musica e poesia, connubio perfetto per una manifestazione che volge al termine con le parole toccanti di Valentina Castiglione, poetessa in erba che va oltre lo spessore delle parole e sconfina in un piacevole spettacolo fatto di effetti e maestranze.

Il sipario si chiude con “Imagine” di John Lennon, inno alla pace e alla fratellanza tra gli esseri umani, invitati ad abbassare l’ascia di guerra e a diventare un tutt’uno.

Annachiara Monaco

 

 

 

 


Editoriale del Direttore