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Matteo Messina Denaro ha cessato di vivere all'età di 61 anni. Catturato il 16 gennaio scorso e negli ultimi giorni in coma irreversibile con l'alimentazione sospesa per decisione dei medici che lo hanno in cura si è compiuto il suo destino.

Una vita, quella di Matteo Messina Denaro, che ha dell'incredibile. Ben tre decenni di latitanza che si è conclusa solo perchè come lui stesso ha sostenuto "malato in forma grave".

Tanti i misteri e i segreti che porterà per sempre con sè. Tanti anche i segreti su come abbia potuto rimanere per 30 anni uccel di bosco essendo il ricercato n.1 d'Italia.

Tante le connivenze, gli agganci e le protezioni che gli hanno consentito tutto ciò. E fra i suoi periodi e luoghi di latitanza non poteva mancare la Calabria con i consolidati rapporti fra alcune famiglie di 'ndrangheta e la mafia siciliana.

Tante le inchieste, le informative, le segnalazioni anonime e le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia che comproverebbero gli antichi e solidi rapporti di Matteo Messina Denaro, l'ex primula rossa con la 'ndrangheta.

Tante le inchieste che coinvolgono l'ultimo boss della stagione stragista con accadimenti avvenuti in Calabria.

In primis l'omicidio del giudice Antonino Scopelliti che fu ucciso il 9 agosto 1991, mentre era in vacanza in Calabria, sua terra d'origine, in località Piale (frazione di Villa San Giovanni, sulla strada provinciale tra Villa San Giovanni e Campo Calabro).

Il giudice Antonino Scopelliti

Omicidio eseguito da sicari della 'ndrangheta per ordine dei siciliani, fra i quali si presume, secondo l'accusa, anche Matteo Messina Denaro.

Numerose le indagini condotte dalla Dda di Catanzaro e di quella di Reggio Calabria in merito ai rapporti fra Matteo Messina Denaro e noti esponenti di 'ndrangheta.

Si presume che alcuni emissari di Totò Riina acquistarono a Mendicino, alle porte di Cosenza, alcuni appartamenti proprio da destinare ad un periodo di latitanza del boss di Castelvetrano.

Lo affermarono alcuni pentiti ed effettivamente due appartamenti vennero sequestrate nell'ambito di un maxisequestro di beni intestati e gestiti ad alcuni fiancheggiatori del boss in una maxi inchiesta condotta dalla Dda di Palermo.

Venne sequestrato in una banca con sede a Mendicino un conto corrente sospetto che si presumeva fosse utilizzato per coprire le spese per la latitanza.

Si registrò anche una grande operazione di polizia con elicotteri e squadre speciali ad Amantea.

Operazione nella quale si disse ma non venne mai confermato ufficialmente, si sperava di prendere la primula inafferrabile.

E si disse anche che il presunto covo era stato abbandonato solo qualche giorno prima.

Chissà, forse per opera di qualche servizio segreto deviato o qualche talpa nelle istituzioni.

Inoltre si presume che vi siano stati dei periodi di latitanza oltre che in provincia di Cosenza anche in provincia di Crotone.

Inoltre uomini fidati di Matteo Messina Denaro hanno anche tentato di investire proventi illegali di Cosa Nostra, soprattutto nel campo dell'energia alternativa, dell'eolico e del fotovoltaico.
 
Negli anni passati furono i temibili fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio a Palermo, a creare anche per conto di Matteo Messina Denaro e non solo per Totò Riina, una serie di forti relazioni con le 'ndrine calabresi.
 
I fratelli Filippo e Giuseppe Graviano
 
Sia nel reggino che nel cosentino. A confermare tale tesi nel 2016 fu in una intervista il procuratore aggiunto di palermo dell'epoca, Teresa Principato, che dichiarò che "la 'ndrangheta ha sostenuto la latitanza di Messina Denaro” i cui rapporti con la mafia calabrese “sono basati su punti incontrovertibili: contatti con la ’ndrangheta ci sono dai tempi di Riina”. 
 
Il processo  'ndrangheta stragista in corso a Reggio Calabria che in primo grado si è concluso con la condanna all'ergastolo per Giuseppe Graviano è imbastito di decine e decine di dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia che confermano il rapporto fra 'ndrangheta e Cosa Nostra.
 
Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia, e protagonista del periodo stragista dei corleonesi al Procuratore Giuseppe Lombardo ha dichiarato “È da una vita che ci sono contatti con calabresi e siciliani”. 
 
Giovanni Brusca, oggi collaboratore di giustizia, al momento del suo arresto
 
 
Chissà se un giorno sarà possibile ricostruire la rete di connivenza e coperture che hanno consentito al boss un periodi di latitanza lungo tre decenni.
 
In molti speravano con la cattura del boss che lo stesso potesse collaborare. Speranza vana.
 
E chissà se nell'ambito di qualche indagine si potranno definire anche le collusioni e le copertura di cui ha goduto nei periodi di latitanza trascorsi in Calabria.
 
Ma come spesso accade nel bel Paese, le speranze rimangono sempre e solo speranze e i misteri rimangono sempre e solo misteri.
 
Redazione

Editoriale del Direttore