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Continua il nostro viaggio nella scoperta delle grandi sculture che compongono il MAB di Cosenza,, un Museo all'aperto unico in Europa e composto da 31 opere di grandissimo valore artistico.

Una sperimentazione artistica di assoluto valore che si basa sulla simbiosi delle opere d'arte che escono dal chiuso dei Musei tradizionali e si inseriscono nel tessuto di una città, nella parte più vissuta di una città con la libera fruizione delle stesse da parte di tutti. Una sperimentazione coraggiosa e visionaria frutto del grande mecenatismo della famiglia Bilotti. Nella nostra prima tappa abbiamo discusso dell'opera scultorea "Le Tre Sorelle" di Antonietta Raphael Mafai che raffigura le tre figlie dell'artista. Nella nostra seconda tappa rimanendo sempre nell'alveo delle opere a firma di Antonietta Raphael Mafai analizziamo la "Grande Maternità" in pietra peperino donata da Roberto Bilotti Ruggi d'Aragona. e posizionata nel percorso del MAB della città dei Bruzi su Corso Mazzini, angolo Via A. Scola.  Opera del 1964 che esprime l'angoscia espressiva del linguaggio plastico della maternità trasformata in dramma, affanno, sotto le minacce della guerra e della persecuzione razziale nell'atto di proteggere il figlio.

Antonietta Raphael Mafai nel suo studio allo specchio

"Con maternità intendo l'origine del mondo" scrisse Antonietta Raphael Mafai, "…l'inizio delle cose …di tutte le cose."  Antonietta Raphael Mafai amava il tema della "Maternità", ma come considerava la maternità in termini pratici? Come ha educato i propri figli, a Roma, nel periodo tra le due guerre, colei che era conosciuta per aver rovesciato i canoni di Mussolini? In una intervista con la giornalista Adriana Giombarresi, Giulia Mafai ( la figlia deceduta lo scorso 21 settembre a 91 anni) descrive in questo modo la sua rivoluzionaria mamma-artista: "Mia madre era una strega perché non sapeva cucinare, fare i piatti, tenere la casa e faceva tutt'altro. Suonava, dipingeva, discuteva di filosofia e poesia e litigava su questi temi con mio padre. Era una madre non identitaria, impossibile da paragonare ad altre madri. Conosceva sette lingue. Quando tornava a casa dai suoi viaggi per i primi giorni parlava una lingua mista."  “Parliamo di una grande artista donna del Novecento, che ha portato avanti con energia e originalità delle tematiche straordinarie, dal femminismo all’indagine sulle sue origini ebraiche. Una donna che parla di maternità e protezione e allo stesso tempo persegue i propri sogni e la propria indipendenza”, racconta a Pagine Ebraiche Giorgia Calò, preparandosi ad inaugurare la grande mostra “Antonietta Raphaël. Attraverso lo specchio”, curata assieme ad Alessandra Troncone ed esposta, a partire da domani 17 novembre, alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Una retrospettiva che racconta la poliedrica vita artistica e personale di Raphaël attraverso dipinti sculture, opere su carta, ma anche documenti, fotografie di famiglia, lettere e pagine dei suoi diari.  “È un passaggio di testimone simbolico. Ora tocca a noi portare avanti l’impegno a ricordare la storia e l’arte della famiglia Raphaël e Mafai”, sottolinea Ariel, figlia di Giulia Mafai, che ha dato il suo contributo alla mostra.  E ritornando alla scultura "Grande Maternità" vi è da aggiungere anche il suo secondo nome "Niobe", figura della mitologia greca.. Niobe è una delle figure più note del mondo mitico dei Greci; figlia del re lidio Tantalo e perciò sorella di Pelope, andò sposa al tebano Anfione. La sua leggenda è già nota a Omero (Iliade, XXIV, 599-620). Niobe era fiera della sua prole, sei figli e sei figlie, e se ne vantava specialmente con Latona (già sua amica di fanciullezza e sua rivale), che ne aveva generati soltanto due, Apollo e Artemide; ma i due uccisero i dodici, saettandoli spietatamente finché furono tutti morti; la disperata madre, trasformata in sasso dal dolore, fu trasportata dagli dei sul monte Sipilo della Frigia, dove, pur essendo pietra, mai non cessa di piangere. Una mamma trasformata, impietrita dal dolore. Una "Grande Maternità".

Redazione

Editoriale del Direttore