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L'elenco dei collaboratori di giustizia a Cosenza è sempre in continuo aggiornamento ed è oramai sterminato. Ben 146 i cosiddetti "pentiti" da quando è nata, sul piano legislativo, la figura del collaboratore di giustizia. Normativa fortemente voluta dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
 
 
 
 

 

Gli ultimi ad entrare nello sterminato elenco dei pentiti, Ivan Barone e Danilo Turboli, mentre è ancora ufficiosa la notizia di un nuovo probabile collaboratore di giustizia, Roberto Porcaro, che porterebbe a 146 il numero complessivo di pentiti nell'area urbana cosentina del 1993 ad oggi.

Ed il probabile pentimento di Roberto Porcaro è un pentimento di "peso" per il ruolo di capo che lo stesso ha esercitato nell'ambito dell'evoluzione della struttura criminale dell'area urbana cosentina.

Un pentimento che potrebbe aprire scenari inquietanti anche nel mai esplorato settore delle collusioni fra la criminali, la imprenditoria e la classe politica, cioè su quel terzo livello che sin dai tempi del pentimento di Franco Pino nel 1995 ( il boss dagli occhi di ghiaccio) ha sempre goduto di una totale impunità e che rende lo spropositato numero di pentiti completamente ininfluente sul piano della vera lotta alle mafie e alle sue coperture che sono la vera forza delle mafie stesse.

E sul possibile pentimento di Roberto Porcaro si è registrato un episodio completamente nuovo per la storia del romanzo criminale cittadino.

Per la prima volta in perfetto stile "Gomorra" ai tempi delle guerre delle bande di Scampia è apparso uno striscione ovviamente a scopo intimidatorio sul quale era scritto "Porcaro pentito infame". Striscione che poi è stato prontamente rimosso.

Striscione "stile Gomorra" apparso a Rende

Un nuovo modello di intimidazione visibile e pubblico che caratterizza molto di più la criminalità napoletana che quella calabrese.

Ovviamente la Scampia di un tempo, non quella di oggi completamente trasformata in virtù della ribellione della stragrande maggioranza della popolazione di Scampia ( circa 90.000 abitanti) stanca della criminalità e dell'immagine stereotipata del loro quartiere.

Quella Scampia dove una Vela è stata abbattuta ed un'altra Vela è oggi sede dell'Università di Napoli.

Storie di resistenze anticamorra

Il fronte di liberazione dalla Camorra di Scampia - La vera Società Civile napoletana

 

 

E, ritornando al romanzo criminale bruzio,  anche le storie raccontate dai nuovi collaboratori di giustizia delineano uno scenario di continui tradimenti, di impegni non mantenuti, di arresti di esponenti di consorterie criminali ai quali non viene più pagato l'avvocato e ai familiari non viene più corrisposto alcun mantenimento, per come, invece, accadeva in passato.

Un quadro nel quale saltano tutte quelle "regole" del mondo criminale che rendono lo stesso molto fragile e molto permeabile alla scelta di aggiungersi al folto elenco dei collaboratori di giustizia.

Una "struttura" criminale debole ben diversa da quella di Reggio Calabria, di Vibo, di Lamezia o di Palermo. Non per nulla il "romanzo criminale cosentino" è completamente differente dalle altre realtà criminali.

E non per nulla il numero dei collaboratori di giustizia a Cosenza è più alto di quello di Palermo e Reggio Calabria sommati fra loro. La città con più pentiti in Italia e nella storia del pentitismo.

Un dato sul quale sarebbe molto interessante condurre delle ricerche sociologiche che risulterebbero essere molto interessanti.

 

 

 
In molti, sul piano nazionale, si sono cimentati in analisi sociologiche e storiche relative al fenomeno ma uno studio degno di nota, sia per il rigore professionale con cui è stato elaborato e sia per il fatto che lo stesso è il frutto di una ricerca e di uno studio durato ben sei anni, è il volume edito dal “Gruppo Abele” dal titolo “Dalla Mafia allo Stato. I pentiti: analisi e storie” pubblicato nel lontano 2005.
 
Pubblicato nel 2005 a cura dei giornalisti Giovanna Montanaro e Francesco Silvestri 
 
Il testo che delinea l’accurata ricerca sul fenomeno del pentitismo è stato curato dai giornalisti Giovanna Montanaro e Francesco Silvestri. La prefazione è stata curata da un ex magistrato di primo piano, Gian Carlo Caselli.
 
Il testo contiene anche delle interviste ( per la precisione diciotto) rilasciate da pentiti di “calibro” delle quattro organizzazioni criminali operanti in Italia, la ‘ndrangheta, la mafia, la camorra e la sacra corona unita.
 
Fra questi Gaspare Mutolo. Giuseppe Marchese, Carmine Schiavone, Umberto Immaturo, Giacomo Lauro e Franco Pino solo per citarne alcuni.
 
Il pentito di Camorra, Carmine Schiavone
 
E nell’ambito di tale lavoro venivano posti interrogativi che, oggi a distanza di ben diciotto anni, sono ancora più attuali di allora.
 
“Chi sono i collaboratori di giustizia?”, “Quanti sono?”, Come vivono oggi?”, “Perché hanno fatto tale scelta?”, “Come vivono da protetti?” “Come vivono quando escono definitivamente dal programma di protezione?”.
 
Domande alle quali non è facile rispondere considerando tutti i risvolti, spesso molto complessi, che si legano alla scelta di divenire un collaboratore di giustizia.
 
Ma negli ultimi anni si registra un fenomeno che deve indurre a delle attente riflessioni.
 
Quello di affidare lo status di “collaboratore di giustizia” con tutto ciò che ne consegue anche a personaggi che non hanno grandi storie criminali alle spalle e che sono talvolta anche giovanissimi, appena ventenni, in alcuni casi.
 
E sempre più spesso personaggi che tendono ad ingigantire e millantare ruoli ed accadimenti pur di raggiungere l'obiettivo di essere ritenuti collaboratori di giustizia.
 
Il tutto a discapito dell’attendibilità e dei riscontri necessari a dare veridicità ai racconti alle deposizioni dei collaboranti.
 
E questo è quello che si registra soprattutto a Cosenza e dintorni. Infatti la storia del pentitismo cosentino è variegata e degna di una vasta ed inesauribile scenografia da film.
 
Vi è di tutto. Pentiti che si combattono e si sfidano fra loro. Pentiti che si pentono di essersi pentiti. Pentiti che ritornano a delinquere per poi ripentirsi. Pentiti ai quali verrà revocato il programma di protezione per accertati contatti con il mondo criminale anche dopo essersi pentiti.
 
A Cosenza la storia del pentitismo vanta anche un pentito “ad litteram”, un pentito che si è pentito prima ancora che venisse scritta ed approvata la legge sui collaboratori di giustizia. Quindi, per come erano definiti allora, un dichiarante.
 
Si tratta di Antonio De Rose che il 10 marzo del lontano 1986 ( la legge che sancisce la nascita del collaboratore di giustizia è del febbraio del 1991) si presenta spontaneamente agli inquirenti e non solo delinea con scrupolo l’organigramma di tutte le fazioni che insanguinarono la città bruzia nei primi anni’80 con lo scontro fra il gruppo Pino ed il gruppo Perna dopo la morte il 14 dicembre 1977 dell’allora capo indiscusso della malavita cosentina, Luigi Palermo, detto “U Zorru”, ma porta gli inquirenti anche a scoprire i corpi maciullati e senza vita di due persone che gli stessi inquirenti neanche sapevano che erano stati uccisi.
 
Ma era il 1986 e la corruzione che allora vigeva anche nelle istituzioni portò alla scarcerazione di tutti coloro i quali vennero arrestati nel blitz seguito alle dichiarazioni del De Rose pochi giorni dopo.
 
Addirittura le accuse vennero derubricate da associazione mafiosa ad associazione a delinquere semplice come se tutti gli omicidi compiuti nei primi anni ’80 a Cosenza e, fra questi, anche omicidi eccellenti come il direttore delle carceri, Sergio Cosmai, fossero avvenuti per caso ed il De Rose venne, ovviamente, dichiarato incapace di intendere e volere.
 
Invece le dichiarazioni del De Rose collimarono al millimetro con le dichiarazioni successive di altri pentiti negli anni ’90.
 
Il primo a pentirsi dopo l’approvazione della legge sui pentiti voluta soprattutto dai giudici Falcone e Borsellino nel ’91, l’anno precedente alla loro morte, fu Francesco Staffa che il 14 aprile 1992 chiese di incontrare l'allora pm Mario Spagnuolo, oggi Procuratore capo della Procura di Cosenza e l'allora maresciallo dei Carabinieri, Cosimo Saponangelo, oggi in pensione.
 
Seguì subito dopo Roberto Pagano e poi i fratelli Dario e Nicola Notargiacomo.
 
Da questi primi pentiti scattò nel 1994 la prima grande inchiesta cosentina, il procedimento “Garden” nell’ambito del quale si pentirono poi in tanti altri.
 
Aula bunker del maxiprocesso Garden degli anni '90
 
Certamente il pentimento più eclatante che segnò uno spartiacque e la fine del primo tempo del romanzo criminale bruzio storia fu il pentimento nel maggio del 1995 del boss dagli occhi di ghiaccio, Franco Pino che passò dalla mafia allo Stato alla giovane età di quarantatré anni dopo essere stato l’indiscusso capo per ben diciotto anni.
 
"Il Boss dagli occhi di ghiaccio" scritto da Pino Nicotri, edito nel 2022, dove l'ex boss racconta tutta la sua vita 
 
 
Tanti i pentiti che si sono aggiunti nel tempo. Solo per citarne alcuni Umile Arturi, i fratelli Francesco, Ferdinando e Giuseppe Vitelli, Franco Garofalo, Nicola Belmonte, Angelo Santolla, Francesco Tedesco, Oreste De Napoli, Francesco Bevilacqua, Erminio Munno, Giuseppe Bonfiglio, Luigi Tripodi, Vincenzo Nemoianni, Domenico Scrugli, Maurizio Giordano, Carmine Cristini, Vincenzo Dedato, Eduardo Capizzano, Pierluigi Berardi, Luciano Oliva, Angelo Colosso, Luigi Paternuostro, Francesco Galdi, Pierluigi, Silvio Gioia, Mattia Pulicanò e tanti, tanti altri ancora.
 
(E’ anche difficile avere un numero certo, ma se ne contano 143 nella sola area urbana cosentina). Un elenco sterminato, probabilmente eccessivo se lo si confronta con il numero dei pentiti della mafia siciliana, della camorra napoletana e della storica ‘ndrangheta reggina.
 
Ma perché Cosenza ha registrato così tanti pentiti?. Probabilmente per la genesi della stessa criminalità cosentina ben diversa da quella reggina composta da nuclei familiari. A Cosenza si è trattato inizialmente negli anni ’70 e primi anni ’80 dell’evoluzione di bande di quartiere. In seguito dalla scelta di tanti giovani spesso abbagliati da un mondo oscuro che non è certamente tutto rose e fiori.
 
E negli ultimi anni si è evidenziato, anche sui mass – media locali, il continuo rosario di dichiarazioni di giovani pentiti delle ultime generazioni criminali sulle presunte relazioni che coinvolgerebbero anche il mondo politico, imprenditoriale e delle professioni.
 
Ad onor del vero anche quando nel maggio del ’95 si pentì Franco Pino circolavano voci di coinvolgimenti di nomi illustri e del cosiddetto terzo livello, cioè quel livello di contatto fra la politica corrotta e le organizzazioni criminali.
 
Franco Pino, il boss dagli occhi di ghiaccio, che si pentì nel 1995
 
In realtà non accadde nulla di nulla e le dichiarazioni di Pino sulla politica vennero ritenute poco attendibili. Non furono in pochi, allora, quelli che si posero il quesito se tali valutazioni furono realmente non condizionate da interessi occulti e da manovre di palazzo.
 
Oggi a ben ventisette anni di distanza il clima è ben diverso. L’antipolitica è sentitissima e la consapevolezza che la politica fin troppo spesso si sia adagiata su compromessi per ottenere voti di scambio e finanziamenti occulti è diffusa ad ogni latitudine.
 
Ma, nonostante tutto, i legami fra la politica e la criminalità a Cosenza rimangono tabù e nessuna inchiesta degna di questo nome è stata mai portata avanti dagli organi inquirenti. Continua indisturbato un clima di impunità e di zona franca che rende Cosenza un territorio idoneo per qualsiasi corruzione e intrallazzo, considerato che non si è mai operato come, invece, è avvenuto a Reggio Calabria, a Palermo e in altri territori.
 
Ma, nonostante ciò, è anche giunto il momento di aprire un serio dibattito, non solo fra gli addetti ai lavori, sul pentitismo e sulla validità dello stesso anche per evitare che un uso improprio possa divenire strumento di lotta politica e di ricatto fra lobby di potere.
 
La lotta alla ‘ndrangheta e alla corruzione è un fine troppo nobile per essere sacrificato ai soliti intrighi di palazzo. Almeno così dovrebbe essere, ma in alcune aree del Paese, così, purtroppo non è. Il rischio è che il fenomeno del pentitismo si affievolisca, che perda il suo ruolo che, invece, ha mantenuto nei suoi primi anni e che la ‘ndrangheta ne sia scalfita marginalmente e che continui ad essere, per come già lo è, l’organizzazione criminale più forte del mondo.
 
Una vera holding planetaria con un potere immenso e certamente non solo in Calabria, ma ovunque, con buona pace dei pentiti e della memoria di Falcone e Borsellino, che con il pentitismo erano convinti che si sarebbe potuto infierire alle organizzazioni criminali un colpo mortale.
 
Ma Falcone e Borsellino erano siciliani e non conoscevano la Calabria e la ‘ndrangheta che, prendendo il posto della mafia siciliana, è oggi molto più potente di quando la mafia siciliana era sotto l’egemonia sanguinaria e stragista dei corleonesi.
 
Una scelta quella dei corleonesi e di Totò Riina di sfida contro lo Stato che si rilevò perdente. Al contrario la 'ndrangheta non ha mai sfidato lo Stato. Nell'infiltrarsi con la corruzione dentro lo Stato, formula vincente, ha saputo crescere al tal punto da essere oggi non più l'antistato ma parte dello Stato stesso.
 
Con un potere economico praticamente infinito.
 
Redazione

Editoriale del Direttore