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La cosiddetta "fuga dei cervelli", nonostante le belle e inutili parole del ceto politico, continua inesorabile. E' la crudezza dei numeri che non possono essere opinabili che conferma tutto ciò.



Nell'ultimo rapporto Istat sulle migrazioni interne ed internazionali della popolazione residente in Italia si evince un preciso quadro del fenomeno antico e mai risolto del continuo abbandono del Sud.

L'antica questione meridionale mai affrontata e che oramai è anche stata annullata nell'agenda governativa da molti anni considerando il livello sempre più basso dei politici meridionali totalmente incapaci di levare la propria voce sul piano nazionale e sempre più ai margini della politica che conta.

Basti pensare che la Lega molto probabilmente riuscirà a spuntarla sull'autonomia differenziata che sarà la pietra tombale del Mezzogiorno.

Nel rapporto Istat si legge che oltre 1.100.000 abitanti del Sud sono andati a vivere altrove nel decennio 2012- 2021 e che, di contro, si è registrato un flusso di ritorno di 613.000 meridionali che, andati in pensione, sono ritornati nelle loro terre di origine.

Con una perdita secca di 525.000 residenti.

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Ma tale dato non tiene conto di una ulteriore realtà molto più incisiva, quella dei 5.000.000 di italiani che conservano la residenza nel loro paese natio ma che, in realtà, studiano o lavorano altrove.

Se si conteggiano i fuorisede con chi ha trasferito la propria residenza al Nord si può parlare di un vero e proprio esodo silenzioso in atto del quale, ovviamente, nessuno se ne frega. Sia i politici che la cosiddetta sempre più vacua e insignificante "società civile".

Un fenomeno che in Calabria, ancor più che in altre regioni, assume dimensioni intollerabili.

Fra i 525.000 che hanno lasciato il Sud ben 129.000 sono giovani tra i 25 e 34 anni laureati.

Fra questi almeno 40.000 sono calabresi. Ben 40.000 laureati calabresi in 10 anni sono andati a vivere al Nord.


In molti sono confluiti nell'insegnamento. Su circa 1.000.000 di docenti in tutto il Paese per tutte le scuole di ogni ordine e grado almeno 200.000 sono calabresi.

La risorsa più importante, i giovani preparati e scolarizzati, continuano ad andarsene.

E come si può sperare in un cambiamento sociale, culturale o civile se la parte migliore scappa.

Rimangono a regnare incontrastati il malaffare, i corrotti ed il marciume che oramai ha conquistato in Calabria tutti i posti di comando ed è divenuta l'elite dominante in ogni settore sociale e non solo quello politico.

La continua emigrazione dei giovani ha ridotto la Calabria a soli 1.400.000 abitanti reali ( anche se i residenti sono 1.824.773 al 31.12.2022) con almeno 420.000 "fuorisede".

Dei veri abitanti calabria ( circa 1.400.000) almeno 650.000 sono pensionati, il 45% della popolazione attuale.

Del resto basti accennare che la forza lavoro, cioè coloro i quali hanno un lavoro stabile nell'età compresa fra i 15 e i 64 anni, nel 2002 in Calabria conteggiava ben 600.000 unità. Nel 2022, solo 400.000.

In venti anni si sono persi 200.000 posti di lavoro, la media di 10.000 l'anno.

Altro che le chiacchiere del ceto politico calabro che sul bisogno, sulla disoccupazione, sul voto di scambio, sulle false promesse hanno costruito le loro immense fortune politiche, economiche, dinastiche e familiari.

Il prevalente voto calabro, il "voto di scambio"



Intanto la Calabria si spopola, invecchia e regredisce.

"Un popolo che non concede speranza ai giovani, che distrugge il futuro dei giovani, è un popolo destinato alla morte".

Questo è ciò che affermava Platone nella sua Atene.

Redazione







Editoriale del Direttore