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"Sono Matteo Messina Denaro". Sarebbero queste le prime parole del boss arrestato oggi nel corso di un blitz coordinato dalla Procura di Palermo e dal Ros. "Come ti chiami?", gli avrebbero chiesto i carabinieri. "Sono Matteo Messina Denaro". Il capomafia avrebbe cercato di allontanarsi alla vista dei carabinieri.

Un tentativo di pochi istanti fermato dai carabinieri. Qui il video dell'arresto presso la clinica Maddalena di Palermo dove lo stesso si era recato per compiere alcune terapie.
Si trovava in day hospital alla clinica Maddalena, in pieno centro a Palermo.

Dopo trent’anni finisce così la latitanza dell'ultimo padrino Matteo Messina Denaro, arrestato questa mattina dai carabinieri del Ros, già condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del 1992, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del 1993 a Milano, Firenze e Roma.

Ricercato dal 1993 Messina Denaro faceva periodicamente controlli in quella clinica da oltre un anno. Secondo quanto si apprende si era recato lì per sottoporsi a terapie, così come spiegato dal comandante del Ros dei carabinieri Pasquale Angelosanto.

In pochi attimi, grazie all'intervento dei militari del Ros, del Gis e dei comandi territoriali la clinica è stata presa d'assalto. Secondo alcune indiscrezioni il boss trapanese, arrestato assieme ad un altro soggetto, avrebbe cercato di nascondersi nel bar.

Matteo Messina Denaro aveva il nome di "Andrea Bonafede", nato il 23 ottobre 1963 e stamattina aveva l'appuntamento per il ciclo di chemioterapia. Lo si è appreso in ambienti sanitari della clinica Maddalena di Palermo dove era in cura per un tumore. Nella scheda di accettazione della clinica è scritto "Prestazioni multiple - infusione di sostanze chemioterapiche per tumore".

Dopo il blitz, l’ormai ex superlatitante è stato trasferito in una località segreta. Secondo quanto si è appreso, lo hanno portato via dall'aeroporto militare di Palermo Bocca di Falco a bordo di un elicottero.

L’operazione odierna è stata coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. A dare la notizia dell’arresto è stata l’Ansa. Messina Denaro era l'ultimo boss mafioso di "prima grandezza" ancora ricercato.

Una latitanza record, la sua, come quella di Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.

 

 

Storia criminale

 

Quella di Matteo Messina Denaro, detto anche “Diabolik” per via di un mitra che voleva sistemare sul frontale della sua Alfa 164, è la storia di un uomo che respira mafia fin dalla nascita.

Il nonno Salvatore è uno dei “superstiti” della repressione di quello che viene ricordato come il prefetto di ferro Cesare Mori, mentre il padre, è “don Ciccio”Francesco Messina Denaro, capo del mandamento di Castelvetrano dopo la guerra di mafia dei primi anni '80, quando con il mazarese Mariano Agate fu alleato dei corleonesi, contro le famiglie palermitane e quelle alcamesi dei Rimi e trapanesi dei Minore. Condannato a dieci anni dal tribunale di Trapani nel 1989 si rese latitante fino alla sua morte a causa di un infarto.

Il suo corpo fu ritrovato morto il 30 novembre 1998 nelle campagne di Castelvetrano. Nel frattempo però il figlio si era già fatto un nome dentro Cosa nostra, “adottato” da Riina in persona, fino a diventare protagonista dello stragismo della criminalità organizzata siciliana.

A 14 anni sa già sparare e il suo curriculum criminale inizia a 18 anni: gli investigatori lo ritengono responsabile di una settantina di omicidi come mandante ed esecutore, e lui non ne fa mistero, come racconta una testimonianza di un suo vecchio amico, “con le persone che ho ammazzato, potrei fare un cimitero”.

I primi mesi del 1992, assieme ad altri boss di Brancaccio, il giovane “Diabolik” venne dirottato su Roma a valutare la possibilità di uccidere Giovanni Falcone, e l’allora ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, a colpi di kalashnikov, fucili e revolver procurati dallo stesso Messina Denaro.

Sembrava tutto pronto quando Salvatore Riina, forse “preso per la manina” da qualcuno come ha poi raccontato il pentito Salvatore Cancemi, cambiò idea optando per un altro luogo ed un'altra modalità per la strage.

Fu così che si virò sull'autostrada Palermo-Punta Raisi, fatta saltare in aria con il tritolo. Sempre nello stesso anno, a luglio, fu tra gli esecutori materiali di uno dei delitti più crudeli di Cosa nostra, rappresentato dal duplice omicidio dei fidanzati Vincenzo Milazzo (capo della cosca di Alcamo che aveva cominciato a mostrarsi insofferente all'autorità di Riina) ed Antonella Bonomo (incinta di tre mesi, ritenuta testimone scomoda degli affari di Cosa nostra).

Il primo morto sparato, la seconda strangolata. Successivamente il boss trapanese fece anche parte del gruppo di fuoco che compì il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà a Mazara del Vallo il 14 settembre 1992.

Nel 1993, a soli 21 anni, fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.

E' l'anno delle stragi di Firenze, Milano e Roma che provocarono in tutto dieci morti (tra cui Nadia e Caterina Nencioni, rispettivamente di 9 anni e di 50 giorni) e 106 feriti a cui sono da aggiungersi i danni al patrimonio artistico. Stragi per cui è stato condannato all'ergastolo con sentenza definitiva nel 2002.

Ma la crudeltà del boss trapanese non si esaurì in quell'estate. Se non vi fossero stati i falliti attentati dell'Olimpico (gennaio 1994) ed al pentito Totuccio Contorno la scia di sangue provocata sarebbe stata più lunga.

Non solo. Nel novembre 1993 “u siccu” fu tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, appena 12enne, per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci.

Dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo Di Matteo venne brutalmente strangolato e il cadavere sciolto nell'acido. Un altro omicidio efferato per una nuova condanna all'ergastolo, stavolta in appello.

Secondo i collaboratori di giustizia sarebbe lui il depositario e custode di indicibili segreti su stragi e trattative.

 
 
Fonte: Antimafiaduemila.it
Articolo a firma di Giorgio Bongiovanni e Aroon Pettinari
16 gennaio 2023

Editoriale del Direttore