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Anche se in grande ritardo, dopo quasi 40 anni, l'omicidio eccellente del direttore delle carceri di Cosenza, Sergio Cosmai, avvenuto nel lontano 1985, è stata raccontato su RaiUno  nel programma "Cose Nostre" condotto da Emilia Brandi andato in onda lunedì 27 maggio in tarda serata alle 23.50.
 
L'omicidio di Sergio Cosmai ( nella foto) a Cosenza nel lontano 13 marzo 1985 rappresentò l'apice della violenza e della forza intimidatrice di una 'ndrangheta che in quegli anni spadroneggiava nella Città di Cosenza che dal 1977 era soggiogata dalla cosiddetta "prima guerra di mafia".
 
E all'omicidio di Sergio Cosmai seguì il 7 febbraio 1986 l'omicidio del suo più stretto collaboratore, Filippo Salsone, maresciallo capo del corpo degli agenti di custodia, ucciso in contrada Razzà di Brancaleone ( Rc) a soli 43 anni, mentre stava trascorrendo qualche giorno di ferie con la sua amata famiglia, sempre in relazione alla sua attività di leale servitore dello Stato e al suo stretto legame con Sergio Cosmai.
 
Filippo Salsone, stretto collaboratore di Sergio Cosmai, ucciso il 7 febbraio 1986 a Brancaleone (Rc)
 
E nonostante le tante dichiarazioni di alcuni pentiti risalenti addirittura al 1995 come nel caso delle dichiarazioni del collaboratore di Giustizia, Franco Pino, sul delitto di Filippo Salsone gli esecutori e i mandanti sono ancora impuniti.
 
L'inchiesta venne riaperta nel 2020, dopo ben 34 anni, anche in seguito alle dichiarazioni di un nuovo collaboratore della Piana di Gioia Tauro, Girolamo Bruzzese, di Rizziconi.
 
Ma da allora non si ha notizia alcuna sulla stessa inchiesta da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria.
 
E non essendovi alcun colpevole e nessuna sentenza non è possibile neanche concedere ai familiari lo status di figli di vittima di mafia. Al danno anche la beffa.
 
Ritornando alla guerra di mafia nella città dei Bruzi basti pensare che solo nel 1981 gli omicidi che si consumarono nella cittadina calabrese furono ben 19, oltre 25 i tentati omicidi.
 
Tutto ciò in un solo anno in una cittadina che allora contava circa 90.000 abitanti.
 
Una città dominata dalle cosche con una magistratura silente e spesso collusa e con una popolazione dove l'idolatria verso la criminalità era fortissima, dove gli esponenti mafiosi erano i "divi" della città e dove la questua verso i capi 'ndrangheta era continua.
 
Negli anni '80 si viveva lo scontro a fuoco costellato da decine e decine di morti ammazzati in pieno giorno fra le due bande che si contendevano il controllo del territorio e fra i tanti morti vi furono anche vittime innocenti che caddero con il piombo della 'ndrangheta solo perchè si trovavano nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
 
Vittime innocenti dimenticate da tutti e rimosse da una città senza memoria alcuna.
 
Da un lato il gruppo capitanato dal boss Franco Pino, che poi nel 1995 si pentì e divenne collaboratore di giustizia ed ancora oggi, a ben 30 anni dal suo pentimento e all'età di 72 anni, oramai senza alcuna protezione, viene chiamato a testimoniare in alcuni processi e dall'altro Franchino Perna, 83 anni, boss irriducibile mai pentito e in carcere oramai da decenni.
 
Franco Pino nelle sue dichiarazioni da pentito e nei numerosi libri nei quali racconta la sua storia da criminale riconosciuto con alti livelli sia dai vertici della 'ndrangheta reggina che dalla camorra cutoliana affermava che nel suo quartiere generale, un negozio di vendita di fiori, ogni giorno si presentavano professionisti, commercianti, politici, imprenditori e tanti altri per chiedere favori di vario genere, assunzioni e soprattutto mediazioni che solo con un suo autorevole intervento potevano sortire effetti reali.
 
Franco Pino esercitava nei fatti il controllo del territorio e si sostituiva allo Stato che a Cosenza è sempre stato assente e non solo negli anni '80 ma praticamente da sempre ed ancora oggi.
 
In un contesto di assoluta mancanza di qualsiasi anelito di giustizia i rapporti sociali erano mediati dall'organizzazione criminale.
 
Libro nel quale si raccontano le gesta di Franco Pino nei suoi anni di dominio della città (1977 - 1995)
 
E in un terrificante contesto del genere, sottovalutato volutamente da tutti e soprattutto dal ceto politico, professionale ed imprenditoriale giunge a Cosenza, per sua grande sfortuna, un rappresentante dello Stato integerrimo che non aveva evidentemente compreso in quale luogo di corruzione e collusione era arrivato.
 
Infatti non pensò minimamente di poter essere ucciso. Sottovalutazione che gli fu fatale.
 
Uomo integerrimo che giunto al Carcere di Cosenza nel 1982, in piena guerra di mafia, impone il rispetto delle regole nel Penitenziario.
 
Rispetto delle regole che sino ad allora era un concetto completamente sconosciuto non solo nel Penitenziario ma praticamente ovunque nella città di Cosenza, luoghi istituzionali compresi.
 
Nel 1983 non si piega alla protesta organizzata nel carcere e da quel rifiuto di accordare determinate regole non dettate dal Direttore delle carceri ma dai boss detenuti scaturisce la decisione della sua morte.
 
Ma quello che deve indurre a delle riflessioni è il seguito di quello che accadde dopo la morte dello stesso Sergio Cosmai.
 
Libro nel quale si racconta il "Romanzo Criminale Bruzio"
 
La sua figura venne subito dimenticata soprattutto in una città dove chiunque tenti di discutere di legalità è immediatamente odiato non solo dai criminali ma soprattutto dalla gran parte della cittadinanza piegata da un "sistema" di illegalità diffusa e permeata da una fortissima cultura dell'illegalità o della mafiosità.
 
Per ben 21 anni l'omicidio e la figura di Sergio Cosmai vengono completamente rimossi dalla memoria della città.
 
Solo nel'ottobre del 2006, dopo oltre due decenni, nell'inchiesta denominata "missing" anche per le tante carte sparite negli anni, vengono ricostruiti in un assurdo ed incomprensibile ritardo le vicende della guerra di mafia che soggiogò la città di Cosenza dal 1977 al 1989.
 
Addirittura la condanna del mandante dell'omicidio Cosmai diviene definitiva con sentenza di Cassazione nel 2014, cioè dopo ben 29 anni dall'omicidio
 
Praticamente una vita, ed ancora oggi per il giovane direttore delle Carceri di Cosenza non vi è stato il riconoscimento di vittime di mafia.
 
Ovviamente tali ritardi di anni ed anni sono stati il frutto di una città corrotta, di Istituzioni colluse e di una rimozione di un periodo nel quale gran parte del mondo dei professionisti, delle Istituzioni, delle massonerie deviate e del sistema complessivo economico e sociale era permeato d interessi criminali e da una dilagante cultura dell'illegalità.
 
Ma quello che è veramente assurdo e che rende la storia di Sergio Cosmai particolarmente triste solo per aver avuto la sventura di essere stato mandato a Cosenza è che gli esecutori materiali, condannati in primo grado e poi assolti in Cassazione con sentenza passata in giudicato, pur avendo confessato di essere stati esecutori dell'omicidio rimangono per l'assurda legge italiana, innocenti pur avendo ammesso l'omicidio.
 
Nella sua fase esecutiva il delitto Cosmai rimane per la legge impunito.
 
Gli esecutori furono due coppie di germani, i fratelli Bartolomeo, poi uccisi in un regolamento di conti, e i fratelli Notargiacomo che riuscirono a salvare la pelle facendo in tempo a divenire collaboratori di giustizia e da collaboratori di giustizia raccontarono con dovizia i particolari dell'agguato che costò la vita al povero Sergio Cosmai.
 
E da colpevoli per il delitto Cosmai non patirono alcuna pena detentiva essendo per la contorta e inspiegabile giustizia italica "innocenti".
 
Cosmai aveva solo 36 anni e lasciò una figlioletta di tre anni. Inoltre la moglie Tiziana Palazzo era in attesa di un bimbo che nacque due mesi dopo la morte del padre e che porta il nome del papà.
 
I fratelli Notargiacomo ed altri pentiti raccontarono anche che la 'ndrangheta cosentina fece pervenire a Bari una valigietta contenente 70 milioni di lire per corrompere un giudice di Cassazione al fine di ribaltare la condanna di colpevolezza del primo e secondo grado.
 
E così avvenne, gli esecutori materiali della morte di Cosmai vennero assolti in terzo grado.
 
Ma  nel contesto di corruzione di quegli anni con uno Stato che tutelava la 'ndrangheta, ovviamente, il nome del presunto Giudice che si fece corrompere e che ribaltò la sentenza non si è mai saputo e sulle dichiarazioni dei pentiti non si attuò alcuna indagine.
 
Figuriamoci se in quei tempi si poteva pensare, nella dilagante corruzione generale che coinvolgeva tanti magistrati, di inquisire un giudice per corruzione. 
 
E sulla vicenda non solo non vi fu indagine alcuna ma calò, in perfetto stile di Stato complice e colluso, il più cupo silenzio.
 
E nonostante le dichiarazione di numerosi pentiti risalenti addirittura al 1994 - 1995 solo nel 2006 si sono recuperate una parte dei faldoni impolverati e abbandonati contenenti dichiarazioni di pentiti e prove inoppugnabili per delineare una gran parte dei tanti omicidi consumati in quegli anni fra i quali anche quello del dott. Sergio Cosmai.
 
Altro che sconfitta dello Stato. Altro che "Città Oscura" dove l'omertà, la corruzione e la collusione hanno finanche distrutto la memoria.
 
Del resto le figure dei martiri dello Stato a Cosenza non hanno mai riscosso alcuna fortuna o simpatia si negli anni '80 che oggi.
 
Ha avuto ragione Domenico Mammolenti, il più stretto collaboratore di Sergio Cosmai, oggi in pensione, ad affermare in una intervista rilasciata al "Corriere della Calabria" quotidiano regionale on - line che "Sergio Cosmai fu lasciato solo dalle Istituzioni" e che "aveva contro tutta la Città di Cosenza".
 
Città da sempre sottovalutata nella sua taratura criminale e soprattutto nella sua immensa e totalitaria struttura sociale basata sulla corruzione e sull'illegalità.
 
Sottovalutata e lasciata sempre libera di vivere nella corruzione con le Istituzioni sempre dormienti e garanti dell'impunità assoluta di quel terzo livello eternamente impunito e libero e tranquillo nel delinquere e nell'agire nell'illegalità con reati compiuti quotidianamente come il voto di scambio esercitato da politici professionisti da sempre votati dalla 'ndrangheta, che a Cosenza è da decenni la normalità.

E' certamente da lodare l'iniziativa di Raiuno nell'aver ricordato una figura importante ed un vero servitore dello Stato in una città dove lo Stato, quello con la "S" maiuscola non è mai esistito e dove a servire lo Stato sono state sempre figure oscure, inserite in contesti di privilegi e di amicizie dubbie e ambigue.
 
Ma anche nel ricordo di Sergio Cosmai nella trasmissione Tv non è stato fornito un quadro chiaro e reale del "Sistema" di corruzione e di collusione dell'intera società cittadina e soprattutto sulla sconfitta dello Stato che ha sancito l'innocenza degli esecutori e che ha condannato il mandante dopo ben 32 anni.
 
Non è emerso dalla storia trasmessa in Tv la evidente sconfitta dello Stato. 
 
E nonostante lo strapotere criminale Cosenza non è mai stata identificata come una città ad alta densità mafiosa.
 
Una strategia voluta da menti raffinate e corrotte e al di sopra di ogni sospetto per garantire impunità e protezione.
 
Ed ancora oggi, dopo quasi 40 anni dalla morte di Cosmai, è così.
 
Basti pensare che il confinante Comune di Rende, sede dell'Università della Calabria, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose e nessuno ne ha discusso.
 
Il tutto è passato completamente inosservato come se nulla fosse.
 
In quell'omertà, quella colpevole sottovalutazione e quella cultura dell'illegalità diffusa che è la vera forza della mafia e che impedisce e sempre impedirà la nascita di una Primavera della legalità.
 
Cultura dell'illegalità che in una terra come la Calabria, patria della 'ndrangheta, è la vera forza dell'organizzazione criminale più potente del mondo.
 
'Ndrangheta che individua nella collusione con il mondo politico ed istituzionale e nell'accettazione culturale della maggioranza del popolo calabrese i suoi punti di forza inespugnabili ed i motivi fondamentali del suo successo e della sua continua crescita ed espansione.
 
Redazione

Editoriale del Direttore