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Al di là delle tante chiacchiere che la classe dei professionisti della politica sono solito fare alimentando false speranze i dati reali dell'economia calabrese continuano inesorabilmente a peggiorare. Uno dei fattori che alimenta il peggioramento complessivo è senza ombra di dubbio alcuno il forte calo demografico che ormai da venti anni interessa la nostra terra. I residenti al 31 dicembre 2020 risultano essere 1.898.000 ma, in realtà tale cifra comprende anche i cosiddetti "fuorisede", cioè coloro che mantengono la residenza in Calabria per vari motivi ma vivono, studiano o lavorano fuori regione. I "veri" residenti che abitano e vivono in Calabria non sono più di 1.500.000. Una cifra lontanissima in confronto ai 2.200.000 degli anni '80 e '90. Ma quello che preoccupa ancor più è lo stravolgimento della composizione demografica della popolazione abitante in Calabria. Si è innalzata l'età media, prevalgono gli ultrasessantenni e diventano sempre più rari i giovani. Il calo demografico combinato con l'emigrazione giovanile continua ed inarrestabile dal 2000 ad oggi porterà la Calabria entro il 2050 ad un solo milione di abitanti, per come previsto da uno studio dell'Istat. Basti pensare che ogni anno la popolazione studentesca diminuisce di circa 6.000 unità. E come se ogni anno chiudessero per mancanza di alunni ben 12 scuole da 500 alunni l'una. Fra non molto saranno più i docenti che gli alunni. L'età media dei calabresi ha superato i 55 anni, la più alta fra tutte le 280 regioni dei paesi dell'Unione Europea. In tale contesto l'attrattiva delle grandi imprese di distribuzione e di grandi investimenti è certamente minore rispetto ad altre aree del Paese dove, invece, la popolazione è in crescita. Tutto ciò ha origini lontane. All'emigrazione giovanile si accompagna anche negli ultimi anni una nuova fenomenologia, quella di tanti pensionati che raggiungono i loro figli che vivono nella grandi città del nord per aiutarli sia economicamente che nella gestione della famiglia. Circa 50.000 i pensionati calabresi andati via negli ultimi 5 anni. Una doppia emigrazione, quella giovanile e quella dei nonni che vanno a vivere dai nipotini. Tutto ciò è il frutto di una classe politica miope, terribilmente autoreferenziale che ha sempre lavorato per il sottosviluppo che consente attraverso la gestione del bisogno il controllo del voto. Ma i calabresi per tanti anni hanno sempre votato i loro carnefici, coloro i quali hanno determinato la partenza dei giovani. Un suicidio collettivo caratterizzato da una sindrome di Stoccolma dove i prigionieri, cioè il popolo calabrese, ha finito per amare e votare, i propri carcerieri. Il tutto in un disastroso calo non solo economico e demografico ma anche sociale e culturale con un ventennio di oscurantismo e di degrado dove solo la corruzione e la 'ndrangheta hanno prevalso su tutto. In tale contesto i giovani non hanno altra strada che se non quella di andarsene altrove per realizzare le proprie aspirazioni ed i propri sogni. Per vivere la loro vita.
Redazione

Editoriale del Direttore