Riportiamo dopo tanti anni la recensione della Prima edizione del libro "La Città Oscura - Venti anni di impegno per una nuova cultura della Legalità" edito da Falco Editore e pubblicato nel lontano 2005. Libro scritto dal giornalista Gianfranco Bonofiglio. Sono trascorsi ben 15 anni da allora e nulla è cambiato. Anzi, l'attenzione sul fenomeno criminale e sull'illegalità diffusa è addirittura diminuita ed in Calabria non riesce a decollare una vera cultura della legalità. Caso oramai unico sul piano nazionale. La recensione è a firma di Marilena Rodi ed è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista mensile cartacea e on-line bottegascriptamanent.it nell'ottobre 2008. Recensione che riportiamo integralmente:
 
E la’Ndrangheta si fa imprenditrice dell’illegalità

di Marilena Rodi
In una terra dove si fa ancora fatica a redimere un fenomeno anomalo per il vivere civile: un libro di Falco editore denuncia i nuovi scenari. Complicità e connivenze da sempre rappresentano la roccaforte della criminalità organizzata. L’educazione alla legalità e l’impegno civile per la diffusione e la crescita del diritto di cittadinanza sono gli elementi cardine per contrastare le forme di illegalità e l’azione pervasiva della malavita.
«Il compito di ogni buon amministratore è anche quello di facilitare e sostenere l’impegno di chi, in prima linea, profonde le proprie energie per una giusta e sacrosanta battaglia di crescita morale e civile»: così, l’On. Gerardo Mario Oliviero, presidente della Provincia di Cosenza, nella prefazione del libro La città oscura. Venti anni di impegno per una nuova cultura della legalità, di Gianfranco Bonofiglio, edito da Falco editore (pp. 208, € 10,00), una raccolta di denunce di cronaca locale dal 1988 ai giorni nostri. Oliviero continua: «Le città oscure e i coni d’ombra devono essere illuminate per poter dare ai giovani la speranza di un futuro diverso, degno di essere vissuto».

Si apre in questo modo il viaggio che l’autore propone al lettore, accompagnandolo nei meandri della Calabria complice e responsabile di alcuni processi innescati negli anni bui della malavita e che, a malincuore, paiono avere seguito anche nel nuovo millennio. Dalla Calabria, regione apparentemente scollegata dal contesto nazionale, emerge una condizione di mancata crescita del senso di cittadinanza e di stato che affonda le radici nella tradizione storica, creando i presupposti ideali per favorire il radicamento della cultura omertosa.

L’illegalità diffusa come status sociale

La struttura sociale «dell’illegalità diffusa ed ambientale», secondo l’autore, è proporzionale allo status di un territorio che non sente la “necessità” di progredire con mezzi leciti; il comportamento individuale è proteso alla ricerca del successo in maniera spregiudicata, dimentico del senso civico d’appartenenza. L’adagio “occhio per occhio e dente per dente” si è insinuato nella logica comune, sedimentando un carattere fortemente orientato alla noncuranza dei fenomeni anomali di corruzione e abuso e favorendo nei cittadini persino il distacco dalla realtà locale.

«Lasciate ogni speranza voi ch’entrate», “celebrava” Dante Alighieri nella prima cantica della Divina Commedia dedicata all’Inferno, sulla soglia del mondo degli spiriti dannati, oltrepassata la quale il destino delle anime era segnato dal tormento e dalla dannazione eterna. Il parallelo parrebbe ardito e probabilmente provocatorio: ci penserà la cronaca locale a raccontare le ardenti e numerose denunce dei fatti di ’Ndrangheta verificatisi negli ultimi vent’anni.

In tale scenario, nel 1985 – ma avrà vita breve – nasce il Centro di ricerca e documentazione dello studio mafioso, afferente al Dipartimento di Sociologia dell’Università della Calabria, fondato dal professor Pino Arlacchi, autorevole studioso delle dinamiche criminali. Contestualmente, mentre ci si domanda se è possibile impegnarsi per la crescita della cultura della legalità, molti giovani vengono coinvolti dalla passione anti-criminalità nella speranza di migliorare la condizione calabrese, senza mafia e senza paure.

A distanza di vent’anni, tuttavia, la Calabria sembra radicata alla tradizione… «un muro di gomma», edificato su ipocrisie e favoreggiamenti, e in un certo senso, in controtendenza rispetto all’orientamento nazionale e della vicina Sicilia (regione che ha voluto reagire, nella coscienza, al potere di Cosa Nostra).

La ’Ndrangheta è cresciuta consolidando la propria posizione economica e rinforzando i bilanci annuali, paragonabili ad una manovra finanziaria dello stato, nella quasi indifferenza della popolazione calabrese e grazie al foderato consenso delle amministrazioni locali. La connotazione assunta è ormai degna di un’organizzazione imprenditoriale.

Dai pentiti alla mafia imprenditrice

Da non sottovalutare è, altresì, il fenomeno del pentitismo a Cosenza, nutrito abbastanza da superare numericamente la schiera dei collaboratori di giustizia, ma che di fatto non ha intaccato il sistema di potere della criminalità. A tal proposito l’autore ricorda don Masino Buscetta che, in un’intervista con il giornalista Saverio Lodato, disse: «La Mafia ha vinto ed il ricordo degli anni successivi alla reazione dello Stato in seguito alla morte di Falcone e Borsellino sono ormai solo uno sbiadito ricordo».

Nella prima parte del libro, Bonofiglio ripercorre alcune tappe epocali della storia della ’Ndrangheta, proponendo stralci di cronaca dalla quale emergono alcuni personaggi salienti per le vicende locali: da “u Zorru” a Raffaele Cutolo; ai fratelli Bartolomeo e Notargiacomo; al “rinnegato” Antonio De Rose, testimone pentito e abbandonato al suo destino – era stato il primo, nel 1986, a svelare gli intrecci fra i clan che agivano nella provincia di Cosenza, ma allora non v’era certezza della pena o normativa che chiarisse come gestire le dichiarazioni.

Nel 1995, durante l’operazione “Garden”, si pentiva il «boss dagli “occhi di ghiaccio”», Franco Pino, e determinava la decadenza della vecchia generazione criminale. È la “stagione del pentitismo”, dalla quale scaturisce il “caso Cosenza”, unico nel panorama nazionale. Bonofiglio prosegue facendo menzione delle caratteristiche mutate nel tempo circa l’approvvigionamento delle risorse finanziarie che, tra gli ultimi anni Ottanta e gli anni Novanta, assume “identità narcotiche”poiché gran parte delle entrate proviene dal traffico degli stupefacenti. La mafia imprenditrice trova quindi la strada per giungere al potere e al rispetto sociale.

Le istituzioni, conniventi e “non vedenti”

Nella seconda parte l’autore, attraverso la cronaca locale, ricorda la nascita della Lega giovanile antidroga e i tentativi di sensibilizzazione innescati al fine di creare una cultura della legalità mediante la promozione di iniziative atte a diffondere la conoscenza degli effetti devastanti della criminalità organizzata. L’attività della lega conduce alla riapertura del centro di ricerca fondato dal prof. Arlacchi e al coinvolgimento dell’Università della Calabria nella lotta alla mafia. Le istituzioni locali, tuttavia, non sembrano essere molto interessate a “far pulizia”, piuttosto si limitano a garantire un’adesione di facciata per mantenere un’immagine di corretta amministrazione, riuscendo in realtà a tenersi abbastanza a distanza da provvedimenti che possano intaccare il potere della criminalità.

L’autore fa riferimento anche ai “martiri” dell’informazione, i giornalisti che sono “caduti” per aver, in qualche modo, contribuito a far luce su alcune vicende misteriose e di evidente collegamento con la mafia: nove omicidi fra Calabria e Sicilia, tra il 1960 e il 1993. Bonofiglio, in una cronaca de “La Provincia Cosentina” del 3 agosto 2003, ricorda le azioni ritardatarie della Commissione parlamentare antimafia, creata ufficialmente nel 1962, ma che di fatto, in Calabria, ha saputo solo confermare l’emergere consistente della realtà mafiosa, restando pressoché a guardare l’evolversi della situazione senza intervenire concretamente.

Le nuove frontiere del capitale mafioso

Al 3 marzo del 2004 risale un articolo, di nuovo de “La Provincia Cosentina”, nel quale viene denunciato l’affare delle “ecomafie”, nuova frontiera di business economico-finanziario della holding ’Ndrangheta. Sul territorio nazionale sono centotrentotto le cosche coinvolte nei reati ambientali, sedicimila le persone incriminate, oltre un miliardo e quattrocento milioni di euro annuali di introiti, oltre un miliardo e seicento milioni di euro per la gestione dei rifiuti speciali.

Discariche abusive, cemento illegale ottenuto dai rifiuti e gestione di quelli pericolosi e tossici rappresentano una quota importante degli affari mafiosi. Una leggenda, di cui non si è mai riusciti a concretizzare i percorsi, narra che negli anni Ottanta, con il consenso dei clan potenti della zona, alcune navi da rottamare siano affondate (appositamente) lungo la costa tirrenica con al loro interno rifiuti tossici e radioattivi. Con un linguaggio di immediata comprensione e uno stile naturalmente giornalistico, Bonofiglio tenta di offrire un contributo coraggioso nell’organizzazione delle testimonianze storiche citate nel libro, facendo della divulgazione delle notizie l’arma con la quale stimolare la conoscenza e la reazione della cittadinanza.

Marilena Rodi

 (www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 14, ottobre 2008)