Il quotidiano on line "fanpage.it, fra i primi quotidiani on line con più visite quotidiane sul piano nazionale, oltre un milione (Fonte prima Comunicazione), è ritornato nei mesi scorsi, con uno speciale dedicato alla morte del Capitano De Grazia, sulla vicenda delle "Navi dei Veleni sulla quale tanto si è discusso ma senza mai giungere ad alcuna verità.

Come in tutte le storie oscure del nostro Paese. E lo speciale di fanpage.it è anche un momento per ricordare gli eventi. Riproponiamo, quindi, uno dei tanti articoli scritto dal nostro direttore, il giornalista d'inchiesta Gianfranco Bonofiglio, sulla storia del pentito di 'ndrangheta, Francesco Fonti, che parlò con gli inquirenti del mistero delle "Navi dei Veleni".

Il grande affare dei rifiuti tossici, chi era realmente Francesco Fonti, il pentito delle navi dei veleni

Francesco Fonti il 5 dicembre del 2012 ha lasciato la sua vita terrena colpito da un male incurabile. Negli ultimi anni della sua travagliata vita della quale gli ultimi diciotto trascorsi da collaboratore di giustizia più volte aveva asserito che erano in molti coloro che desideravano la sua dipartita. Lo scrive finanche nella sua quarta di copertina del sul libro “Io, Francesco Fonti, pentito di 'ndrangheta e la mia nave dei veleni” edito dalla “Falco Editore” nel novembre del 2009, tre anni prima della sua morte. Ma chi è stato realmente Francesco Fonti. Un vero boss della 'ndrangheta prima ed un pentito scomodo dopo, oppure un uomo che ha sempre cercato da dare di sé una visione diversa millantando credito e romanzando la sua vita cercando di farsi accreditare per quello che in realtà non era. E fra le due tesi quella che ebbe la meglio fu quella di essere considerato poco credibile.
Eppure a leggere il suo libro autobiografico non sembra poi essere del tutto inattendibile. Inoltre da quando, e precisamente dal 23 maggio, alcuni documenti coperti da segreto di Stato relativi alle indagini sulla morte di Ilaria Alpi e sul presunto traffico internazionale di rifiuti sono stati desecretati su decisione del Consiglio dei Ministri, non sembra affatto che in alcuni di questi il collaboratore di giustizia Francesco Fonti venisse ritenuto completamente inaffidabile per come poi invece è stato giudicato nell'ambito processuale. Fonti collezionò, fra l'altro, anche tre condanne per calunnia nei confronti di diversi magistrati. E nelle sue dichiarazioni Francesco Fonti non risparmia nessuno. Racconta di cene romane con esponenti importanti dei servizi segreti, di incontri con importanti personaggi della Prima Repubblica, (incontri dei quali non fornisce però nessun riscontro).
Arriva a parlare anche del caso Moro. Si tratta ovviamente del periodo nel quale Francesco Fonti frequentava Roma e girava l'Italia per lungo e per largo. Si tratta degli anni '70 ed anni '80 considerando che, condannato a 50 anni di reclusione, diviene collaboratore di giustizia nel 1994, quando aveva soli 46 anni, e quando nella gerarchia 'ndranghetista aveva raggiunto il grado di “Vangelista”. Francesco Fonti nasce a Bovalino il 22 febbraio 1948. “Avevo meno di vent'anni, ma nel Sud questa età è quella buona per essere affiliato”, “Venni mandato a Torino per farmi le ossa” racconta Fonti di se stesso. E nel suo libro racconta anche della sua esperienza vissuta nel cosentino, della sua permanenza a Rossano Calabro dove acquistò una villa e dove espletò l'attività di commerciante nel settore dell'arredamento, del contrasto poi risolto con Peppino Cirillo, in quel tempo boss della sibaritide.
Il racconto della sua vita prosegue con l'arresto nel 1985 nel carcere di Vibo dove Fonti conosce Franco Pino, il boss dagli occhi di ghiaccio. Sempre nel 1985 Fonti nel carcere di Vibo partecipa alla veglia funebre in onore di Paolo De Stefano, ucciso nella guerra di 'ndrangheta reggina il 13 ottobre 1985. Racconta anche della sua esperienza carceraria vissuta all'interno del carcere di Via Popilia a Cosenza. Del suo ingresso nella “Santa”, l'organizzazione di vertice della 'ndrangheta ai quali componenti è permesso di avere contatti con esponenti deviati dello Stato, del suo rapporto per anni con uomini dei servizi segreti, con potenti personaggi della mafia siciliana. Ma la sua credibilità subisce un duro colpo quando il Ministero dell'Ambiente accerta che il relitto antistante il mare di Cetraro non è la nave “Cunsky” che, per le dichiarazioni di Fonti, venne fatta affondare con il suo carico tossico, bensì quello del Piroscafo “Catania” affondato durante l'ultima guerra.
Vi è chi pensa che la storia delle navi dei veleni sia uno di quei misteri all'italiana che tali rimarranno per sempre nonostante la desecretazione degli atti coperti dal cosiddetto segreto di Stato. Una storia, quella delle navi dei veleni, sulla quale sono stati scritti fiumi e fiumi d'inchiostro, sulla quale sono stati pubblicati numerosi libri con diversa fortuna editoriale. Così come mai si saprà con certezza se Francesco Fonti raccontò da pentito una verità vera ma scomoda oppure Francesco Fonti, nel suo paese detto Ciccillo, nel suo memoriale di 49 pagine del 2003 consegnato a Enzo Macrì della Procura nazionale Antimafia nel quale si racconta delle tante navi affondate nel Mediterraneo, si avventurò nel fantasticare fatti non veri per darsi un ruolo che non ha mai avuto. Anche questo rimarrà un mistero come rimarrà un mistero su cosa cercassero coloro i quali hanno saccheggiato la sua modesta abitazione assegnatagli nell'ambito del regime di protezione e collocata segretamente in un centro assistenziale di una provincia del Nord Italia pochi giorni dopo la sua morte.


Redazione