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Sabato, 30 Settembre 2023
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L'Angolo della Memoria

Sono 25 anni che ci manca la grande Mia Martini. E la vogliamo ricordare menzionandouno dei suoi brani più famosi "Minuetto". Uno dei brani più intensi e struggenti della cantante calabrese.  Un successo scritto dal grande Franco Califano, che nell’estate del 1973 scalò la classifica dei 45 giri più venduti in Italia, vincendo il Festivalbar. Sono passati 24 anni dalla morte di Mia Martini. Era il 12 maggio 1995, quando la cantante calabrese venne trovata morta nel suo letto, stroncata da un attacco cardiaco. Straordinaria artista ed interprete, nel corso di circa trent'anni di carriera, ci ha regalato molte canzoni destinate a rimanere nella storia della musica leggera, una su tutte: "Minuetto". Singolo più venduto del suo repertorio, l'intenso e malinconico brano arrivò un anno dopo "Piccolo Uomo", altro grande successo che nel 1972 l'aveva definitivamente consacrata come una delle voci più interessanti del panorama musicale italiano. La scelta si rivelò immediatamente azzeccata, in quanto permise alla giovane Mimì di bissare il successo commerciale dell'anno precedente, raggiungendo una popolarità ancora maggiore. Prima della pubblicazione, Mia Martini, intuendo l'enorme potenziale di questa canzone, dichiarò in diverse interviste, come riporta il sito Questi miei pensieri, di avere pronto un nuovo pezzo davvero "forte": "A mio parere, "Minuetto" è un pezzo di genere classicheggiante con un finale straordinariamente suggestivo. Piacerà alla gente di palato fino. Ma, siccome oggi i gusti si sono affinati, dovrebbe piacere anche al grande pubblico". E infatti il successo discografico del brano, singolo trainante dell'album "Il giorno dopo", fu immediato. Il 23 giugno 1973 "Minuetto" entrò direttamente al secondo posto nella top-ten dei 45 giri più venduti, dove restò per 30 settimane consecutive, risultando il 7° singolo di maggior successo del 1973. Inoltre la canzone valse alla sua interprete un nuovo disco d'oro, nonché la seconda vittoria consecutiva al Festivalbar, cosa che in precedenza era riuscita solamente a Lucio Battisti. Questa volta, però, Mia Martini vinse ex aequo con Marcella Bella, in gara con "Io domani". Il testo di "Minuetto" fu inizialmente affidato a Maurizio Piccoli e Bruno Lauzi, ma i due autori cercarono invano di trovare delle parole efficaci per la difficile partitura di  Dario Baldan Bembo, che partiva appunto come rivisitazione in chiave moderna di un minuetto, per poi trasformarsi in una ballata lenta e malinconica. Una prima stesura, molto più piatta e convenzionale di quella divenuta celebre, fu realizzata da Luigi Albertelli ed intitolata "Salvami" ed è stata inserita nel 2003 nella raccolta postuma di inediti "Canzoni Segrete". La riscrittura del testo fu quindi commissionata ad un ancora poco noto Franco Califano, che ne fece il capolavoro che tutti conosciamo. Il celebre cantautore, scomparso nel 2013, ha parlato in più di un'occasione del suo rapporto con Mia Martini. "Il nostro incontro risale al 1973. Avevo appena finito di comporre “Minuetto” e sentii subito che si trattava di un pezzo del quale Mia Martini avrebbe colto perfettamente tutte le sfumature, la sua storia di amore disperato. Glielo affidai e Mia vinse il Festival d’Europa e il Festivalbar. In qualche modo "Minuetto" segnò il suo grande successo, la nascita di un’interprete impareggiabile, che osservava il mondo e gli uomini con una straordinaria sensibilità. Non ci legava una frequentazione assidua, anzi sono poche le occasioni nelle quali io e Mia ci siamo ritrovati vicini a parlare di musica, di quella musica che per lei era in qualche modo uno strumento di liberazione, un modo per dimenticare".  La canzone rappresenta lo sfogo di una donna, schiava di una relazione insoddisfacente, alla quale, tuttavia, non riesce a porre fine. Sembrerebbe il classico schema di una donna ripetutamente sedotta e abbandonata dallo stesso uomo, che la usa per i suoi comodi, se non fosse che la protagonista femminile del brano, pur sentendosene prigioniera, rivendica con fierezza la sua passione, usando metafore estremamente sensuali per descriverla: "Il mio cuore si ribella a te, ma il mio corpo no/ Le mani tue, strumenti su di me,/ Che dirigi da maestro esperto quale sei…", e ancora, più avanti: "Rinnegare una passione no,/ Ma non posso dirti sempre sì/ E sentirmi piccola così tutte le volte che mi trovo qui di fronte a te". Nel finale, però, prevale la consapevolezza dell'impossibilità di un epilogo positivo per quella storia d'amore e l'amarezza per il tempo perduto: "E la vita sta passando su noi,/ Di orizzonti non ne vedo mai/ Ne approfitta il tempo e ruba come hai fatto tu/ Il resto di una gioventù che ormai non ho più…", per poi approdare ad una triste conclusione: "Io non so l'amore vero che sorriso ha,/ Pensieri vanno e vengono, la vita è così…" Nel 1974 la stessa Mia Martini ne incise una versione per il mercato spagnolo ed una per il mercato francese, intitolata "Tu t'en vas quand tu veux", che tuttavia non ebbero molto successo. Dello stesso anno è la versione inglese del gruppo Os Motokas, intitolata "Tenderly". Esiste poi una versione strumentale della "Bembo's Orchestra" del 1978. Nel 1999, invece, Al Bano Carrisi ne ha realizzato una cover, contenuta nell'album "Volare – My favorite italian songs". Infine è del 2008 la versione live dell'autore del testo, Franco Califano.
Fonte: music.fanpage.it

 



 



Sono 25 anni che ci manca la grande Mia Martini. E la vogliamo ricordare menzionandouno dei suoi brani più famosi "Minuetto". Uno dei brani più intensi e struggenti della cantante calabrese.  Un successo scritto dal grande Franco Califano, che nell’estate del 1973 scalò la classifica dei 45 giri più venduti in Italia, vincendo il Festivalbar. Sono passati 24 anni dalla morte di Mia Martini. Era il 12 maggio 1995, quando la cantante calabrese venne trovata morta nel suo letto, stroncata da un attacco cardiaco. Straordinaria artista ed interprete, nel corso di circa trent'anni di carriera, ci ha regalato molte canzoni destinate a rimanere nella storia della musica leggera, una su tutte: "Minuetto". Singolo più venduto del suo repertorio, l'intenso e malinconico brano arrivò un anno dopo "Piccolo Uomo", altro grande successo che nel 1972 l'aveva definitivamente consacrata come una delle voci più interessanti del panorama musicale italiano. La scelta si rivelò immediatamente azzeccata, in quanto permise alla giovane Mimì di bissare il successo commerciale dell'anno precedente, raggiungendo una popolarità ancora maggiore. Prima della pubblicazione, Mia Martini, intuendo l'enorme potenziale di questa canzone, dichiarò in diverse interviste, come riporta il sito Questi miei pensieri, di avere pronto un nuovo pezzo davvero "forte": "A mio parere, "Minuetto" è un pezzo di genere classicheggiante con un finale straordinariamente suggestivo. Piacerà alla gente di palato fino. Ma, siccome oggi i gusti si sono affinati, dovrebbe piacere anche al grande pubblico". E infatti il successo discografico del brano, singolo trainante dell'album "Il giorno dopo", fu immediato. Il 23 giugno 1973 "Minuetto" entrò direttamente al secondo posto nella top-ten dei 45 giri più venduti, dove restò per 30 settimane consecutive, risultando il 7° singolo di maggior successo del 1973. Inoltre la canzone valse alla sua interprete un nuovo disco d'oro, nonché la seconda vittoria consecutiva al Festivalbar, cosa che in precedenza era riuscita solamente a Lucio Battisti. Questa volta, però, Mia Martini vinse ex aequo con Marcella Bella, in gara con "Io domani". Il testo di "Minuetto" fu inizialmente affidato a Maurizio Piccoli e Bruno Lauzi, ma i due autori cercarono invano di trovare delle parole efficaci per la difficile partitura di  Dario Baldan Bembo, che partiva appunto come rivisitazione in chiave moderna di un minuetto, per poi trasformarsi in una ballata lenta e malinconica. Una prima stesura, molto più piatta e convenzionale di quella divenuta celebre, fu realizzata da Luigi Albertelli ed intitolata "Salvami" ed è stata inserita nel 2003 nella raccolta postuma di inediti "Canzoni Segrete". La riscrittura del testo fu quindi commissionata ad un ancora poco noto Franco Califano, che ne fece il capolavoro che tutti conosciamo. Il celebre cantautore, scomparso nel 2013, ha parlato in più di un'occasione del suo rapporto con Mia Martini. "Il nostro incontro risale al 1973. Avevo appena finito di comporre “Minuetto” e sentii subito che si trattava di un pezzo del quale Mia Martini avrebbe colto perfettamente tutte le sfumature, la sua storia di amore disperato. Glielo affidai e Mia vinse il Festival d’Europa e il Festivalbar. In qualche modo "Minuetto" segnò il suo grande successo, la nascita di un’interprete impareggiabile, che osservava il mondo e gli uomini con una straordinaria sensibilità. Non ci legava una frequentazione assidua, anzi sono poche le occasioni nelle quali io e Mia ci siamo ritrovati vicini a parlare di musica, di quella musica che per lei era in qualche modo uno strumento di liberazione, un modo per dimenticare".  La canzone rappresenta lo sfogo di una donna, schiava di una relazione insoddisfacente, alla quale, tuttavia, non riesce a porre fine. Sembrerebbe il classico schema di una donna ripetutamente sedotta e abbandonata dallo stesso uomo, che la usa per i suoi comodi, se non fosse che la protagonista femminile del brano, pur sentendosene prigioniera, rivendica con fierezza la sua passione, usando metafore estremamente sensuali per descriverla: "Il mio cuore si ribella a te, ma il mio corpo no/ Le mani tue, strumenti su di me,/ Che dirigi da maestro esperto quale sei…", e ancora, più avanti: "Rinnegare una passione no,/ Ma non posso dirti sempre sì/ E sentirmi piccola così tutte le volte che mi trovo qui di fronte a te". Nel finale, però, prevale la consapevolezza dell'impossibilità di un epilogo positivo per quella storia d'amore e l'amarezza per il tempo perduto: "E la vita sta passando su noi,/ Di orizzonti non ne vedo mai/ Ne approfitta il tempo e ruba come hai fatto tu/ Il resto di una gioventù che ormai non ho più…", per poi approdare ad una triste conclusione: "Io non so l'amore vero che sorriso ha,/ Pensieri vanno e vengono, la vita è così…" Nel 1974 la stessa Mia Martini ne incise una versione per il mercato spagnolo ed una per il mercato francese, intitolata "Tu t'en vas quand tu veux", che tuttavia non ebbero molto successo. Dello stesso anno è la versione inglese del gruppo Os Motokas, intitolata "Tenderly". Esiste poi una versione strumentale della "Bembo's Orchestra" del 1978. Nel 1999, invece, Al Bano Carrisi ne ha realizzato una cover, contenuta nell'album "Volare – My favorite italian songs". Infine è del 2008 la versione live dell'autore del testo, Franco Califano.
Fonte: music.fanpage.it

 



 
Posted On Lunedì, 11 Maggio 2020 20:17

Correva l'anno 1972. La Calabria viveva con passione gli anni successivi alla rivolta dei “Boia chi molla” di Reggio Calabria. L'Ente Regione Calabria, nato nel 1970, muoveva i primi passi con l'avvio della sua prima legislatura. Il Governo della Regione, quindi la Giunta, era a Catanzaro, il Consiglio regionale era dislocato, invece a Reggio Calabria, nel solco di quel compromesso che aveva lasciato tutti perplessi e che generò anche il famoso pacchetto Colombo. Ed in quel 1972 si dava vita al primo quotidiano che nasceva in Calabria.

Inizialmente “Il Giornale di Calabria” venne stampato a Roma ed uscì per la prima volta nelle edicole calabresi il primo giorno d'aprile del 1972. Fautore dell'importante iniziativa editoriale Giacomo Mancini, che in quegli anni ricoprì il ruolo di Ministro della Sanità, Ministro dei Lavori pubblici e Segretario nazionale del Psi. A finanziare l'iniziativa Nino Rovelli della Sir, industriale legato a Giacomo Mancini. A dirigere il Giornale di Calabria viene chiamato il giornalista Piero Ardenti, nato a Milano nel 1921, ma per come venne definito da molti “un ardente e convinto meridionalista del Nord”.

 
Correvano gli anni '70, la grande avventura de “Il Giornale di Calabria”, (1° aprile 1972 - 6 ottobre 1979)
 
 

Piero Ardenti rimase direttore dal primo all'ultimo giorno di vita del giornale. E dopo la chiusura del giornale Ardenti non ritornò nella sua Milano ma rimase in Calabria dedicandosi alla nascente emittente privata TeleCosenza. Il manipolo di giovani e bravi giornalisti che iniziò a lavorare in redazione venne reclutato da Enzo Arcuri, noto giornalista Rai. Ed Enzo Arcuri li reclutò a prescindere dall'appartenenza politica. Giunsero da Roma giornalisti professionisti del calibro di Lorenzo Salvini e Paolo Guzzanti.

Fra i praticanti Pietro Mancini, figlio di Giacomo, oggi dirigente Rai in pensione, Agostino Saccà, che ebbe in seguito ruoli importantissimi nell'ambito della Rai e Mimmo Liguoro, solo per citarne alcuni. Inizialmente le redazioni erano dislocate a Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria. Solo dopo l'apertura dello stabilimento tipografico a piano Lago, vicino l'uscita autostradale di Rogliano, i praticanti del giornale riuscirono a partecipare e superare gli esami di Stato previsti per l'iscrizione all'albo dei giornalisti professionisti.

Da sottolineare che nei primi anni settanta la Calabria dipendeva dall'Ordine della Regione Campania. Molti sono passati per la redazione de “Il Giornale di Calabria” e molti hanno fatto carriera. Pantaleone Sergi, Luigi Piccitto, Raffaele Malito, Tonino Raffa, Pietro Melia, Santi Trimboli. Molti non ci sono più. Enzo Costabile, Michelengelo Napoletano, Giovanni Indrieri.

Scomparso anche il mitico direttore, Piero Ardenti. L'esperienza de “Il Giornale di Calabria” fu esaltante sia per il coraggio delle inchieste e sia per le tante battaglie garantiste e libertarie delle quali fu assoluto protagonista. Chiuse nel 1979 oberato da debiti e da difficoltà finanziarie. Oggi nei locali dello stabilimento tipografico è allocato il CNR, prezioso ente di ricerca scientifica.

Ebbe il ruolo di una grande palestra formativa per tanti giornalisti ed un esempio di libertà e democrazia in anni difficili e nell'ambito di una cornice, quella di una regione del profondo sud, che lottava con coraggio per cercare di uscire da uno storico isolamento non solo economico ma, soprattutto, culturale. Ed “Il Giornale di Calabria” ebbe il merito di aver vissuto una sfida culturale di immensa portata. Una esperienza che non deve essere dimenticata e che deve rimanere da lezione e da esempio per ogni giovane giornalista calabrese.


Gianfranco Bonofiglio

 

 
 
 
 
Posted On Domenica, 10 Maggio 2020 16:39

"A volte, quando lo guardavo e vedevo il suo sguardo andare come distratto e lontano, oppure quando lo vedevo soffrire insonne, con la tosse che gli sconquassava il petto o quando dondolando sulla sua sedia a dondolo mi diceva quanto fosse stanco. Pensavo che forse volesse morire, ma che poi si trattava solo di momenti e che ancora oggi sono convinta che non lo volesse affatto, perché era pieno di vita, pieno di progetti, anche se la vita sembrava che in quei momenti di sofferenza avesse la meglio e lo potesse sovrastare. Papi mio sembrava avesse sette vite come i gatti, delle capacità di ripresa straordinaria, saliva dal magazzino sotterraneo con le braccia cariche di libri... "Pinale prendi qui..." O battendo le mani forti sulla copertina per scuotere la polvere degli scaffali, ed io pensavo perciò che non potesse morire mai."

Posted On Venerdì, 27 Dicembre 2019 11:46

"Ogni volta che mi guardo allo specchio scopro di assomigliare sempre di più ai miei genitori. Le radici sono tutto. Mia madre e mio padre mi hanno fatto capire l’importanza del sacrificio, dell’onestà e dell’amore verso il prossimo. Io sono il terzo di cinque figli. Da mio padre ho preso la rettitudine, ma anche la sobrietà dei sentimenti. Ricordo che i miei erano misurati anche quando succedeva qualcosa di cui gioire. Dicevano: "Pari bruttu", sembra brutto gioire eccessivamente, faremmo un torto a chi sta peggio di noi e non ha motivo di rallegrarsi. Mio padre Francesco, negli anni Cinquanta, aveva comprato un piccolo camion con cui trasportava cereali e ghiaia nei paesi della Locride, in Calabria, per conto di agricoltori e imprenditori della zona."

Posted On Venerdì, 27 Dicembre 2019 09:11
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